sabato 26 dicembre 2020

Storia di un romanzo: Ad bestias


Quando arrivò nella casella di posta dei Ciottoli la proposta di Mario Corte, diedi una rapida lettura alla sinossi e poi un’occhiata alla scheda biografica dell’autore. E lì rimasi senza parole: quell’uomo ne sapeva molto più di me di letteratura, avendo dedicato tutta la sua vita a scrivere, rivedere, tradurre opere. Oltre a essere autore e bibliografo dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, curava da circa venticinque anni Il libro dei fatti, e aveva pubblicato in precedenza con case editrici quali Einaudi. 

Perché, allora, proponeva a noi il suo romanzo? 

Lo chiamai e glielo chiesi.
Mi rispose che le grandi case editrici lo avevano tutte deluso. Le loro erano mere operazioni commerciali, e Mario aveva invece bisogno di rivivere il grande passato, i tempi in cui erano editor come Calvino a decretare il bene o il male del panorama letterario italiano.
A quelle parole cercai di sprofondare, ma le leggi della fisica – impietose – me lo resero impossibile.
Bofonchiai che non mi ritenevo affatto all’altezza dei grandi del passato – Calvino, figuriamoci, il mio indiscusso idolo letterario! – e che faceva ancora in tempo a tornare sui suoi passi.
Mario liquidò le mie proteste con poche parole: “Claudia, veda se il romanzo funziona, se qualcosa va cambiato: mi faccia questo immenso favore”. 

La revisione

Il mio lavoro di revisione durò pochi giorni: a parte piccole incongruenze e qualche inevitabile refuso, Mario Corte ci aveva regalato un romanzo di rara originalità, e soprattutto di rara sensibilità.
Protagonista un bambino di sei anni – Michelino – dalla fervida immaginazione. E di contorno le bestie, che sono i suoi stessi familiari: una zia che lo usa per assecondare le sue perversioni, una nonna tirchia nell’animo, una madre scissa dalla realtà e un padre incapace di difenderlo.
Quel mondo, in cui il surreale di Michelino cercava di essere fatto in frantumi dalle bestie, mi colpì, ferì e anche risvegliò: è in nostro mondo, purtroppo. 

L’amicizia

Nel frattempo avevo avuto modo di conoscere meglio Mario: con lui ho parlato del romanzo, si intende, ma anche di tante altre cose, che mi hanno aiutato a comprendere di più sia lui, sia me stessa. E credo sia questo l’aspetto che amo maggiormente del mio lavoro: potermi confrontare con persone non solo interessanti, ma anche capaci di creare sintonie, visioni comuni, stimoli reciproci.
Per qualche giorno mi fece addirittura l’onore di essere mio ospite qui a Negrar, e spero solo che si sia trovato bene in questa gabbia di matti.
Durante la sua permanenza, presentammo Ad Bestias alla Libre! di Verona, e Mario riuscì a incantare i presenti con dettagli sul suo romanzo, ma soprattutto con la sua generosa umanità.
Un piccolo-grande successo, insomma. 

Uno spiacevole intoppo

Qualche giorno dopo venni contattata da una giornalista del giornale locale veronese – L’Arena – per un’eventuale recensione.
Portai alla signora in questione una copia del romanzo, ci intrattenemmo un po’ a parlare del panorama letterario italiano, ma anche di Mario Corte, di perché avevo scelto di pubblicarlo, e me ne tornai a casa con la piacevole sensazione di aver incontrato una persona che condivideva parecchio del mio modo di pensare.
Dopo soli due giorni, questa signora mi richiamò, invitandomi a tornare a casa sua.
Una volta lì mi disse, con fare contrito, che se avesse dovuto scrivere una recensione sarebbe stata per stroncare il romanzo.
“È nel suo diritto, faccia pure”, le risposi. “Ma posso sapere perché?”
“Perché ci sono delle frasi in inglese, e questo è un romanzo di letteratura italiana. Almeno aveste messo delle note…”
Non ci potevo credere, mi sa che sono impallidita. Tutto mi sarei aspettata, tranne una critica così fuori luogo.
Devo aver ribattuto con qualcosa come “Ma si tratta di poche battute, comprensibili anche da un ragazzino delle elementari”.
Fatto sta che la giornalista in questione non aspettava altro che un mio vacillare. “Ma come? La vedo disorientata. Non sa accettare le critiche? Mi sa che ha ancora molto da imparare sul lavoro di editrice. Guardi, guardi qua: questa è una recensione che sto preparando per Einaudi. E frasi in inglese manco mezza. Lo stile è stringato, niente divagazioni fantasiose.” 

C’era da ribattere? 

Mi sa di no. Le diedi ragione sul fatto che avevo ancora molto da imparare, cosa che ritengo vera tutt'oggi, e me ne andai salutando con perplessa gentilezza.
Per poi tornare a casa e ritrovarmi una mail piena di feroce ironia e sarcasmo bieco da parte della suddetta.
Ad bestias, che altro?

Claudia Maschio

domenica 20 dicembre 2020

"C'era una volta o forse non c'era...", la recensione del Giornale di Vicenza

 


14 fiabe tra donne e sciamanesimo

Le fiabe ungheresi. Un patrimonio di cultura e colore

Scritte da Benedek ora tradotte dalla misquilese Elisa Zanchetta



In foto: Elisa Zanchetta con l'inseparabile Mandy 
e il volume C'era una volta o forse non c'era...

Numeri che si ripetono, creature fantastiche, mondi strabilianti in cielo e nel sottosuolo. Un porcaro che su consiglio di un maialino chiede al re sette paia di calzari e sette abiti per arrampicarsi, in sette giorni, sull’albero che tocca il cielo e salvare la principessa rapita e trasportata lassù da un vento vorticoso.

Un castello di diamante, con settemila finestre e settemila gradini, che ruota sopra una zampa di gallo ed è abitato da un mostro serpentino a nove teste, dotato di parola e di un'intelligenza malvagia, che concupisce la giovane.

Sono solo alcuni degli affascinanti elementi cosmologici presenti in C'era una volta o forse non c'era..., raccolta di favole ungheresi curata e tradotta per la prima volta in Italia da Elisa Zanchetta di Mussolente, per la casa editrice Vocifuoriscena.

Il titolo replica l'insolito e caratteristico incipit della tradizione favolistica magiara: una formula che chiarisce come il il lettore venga catapultato in una realtà altra, un mondo in cui tutto e il contrario di tutto sembrano possibili e i confini tra fiaba e mitologia si confondono.

Proprio la curiosità per il mito ungherese, o meglio, per l'assenza di una mitologia racchiusa in un testo unitario, è alla base del lavoro della curatrice.

«Dopo essermi appassionata, da autodidatta, al finlandese e alla mitologia finnica, all'università decisi di studiare l'ungherese e di ricostruire la mitologia di quel popolo nomade di origine caucasica che si stabilì nella valle del Danubio alla fine del IX secolo», racconta Zanchetta. «Per riuscirci, oltre agli articoli pubblicati dagli studiosi, lessi anche l'opera di Benedek Elek, scrittore e giornalista che tra il 1894 e il 1896 raccolse il patrimonio fiabesco del suo Paese».

Per orientarsi nella ricerca, Elisa si era creata un glossario, ora trapiantato come parte integrante nella raccolta, e aveva raggruppato le fiabe in tre grandi filoni: sciamanesimo, figure femminili e albero cosmico. Suddivisione poi conservata nelle quattordici storie del libro, tutte con testo originale a fronte, chiuse da un "testamento morale" di Benedek, vero pedagogo per i lettori di ogni epoca.

Con il patrimonio di mille anni di fiabe, leggende e storie religiose, raccolte confrontandosi con studiosi e andando di villaggio in villaggio, Benedek racconta di un popolo in possesso di un'immaginazione coraggiosa, dotato di un linguaggio rispettoso del pudore e della morale e capace di fare di ogni favola un'opera letteraria. Un patrimonio unico che può essere letto dagli adulti e raccontato ai più piccoli.

 

Federica Augusta Rossi - Il Giornale di Vicenza

Link all'articolo scansionato: 

sabato 19 dicembre 2020

«Servono morale e cielo stellato», intervista a Claudia Maschio

 


«Servono morale e cielo stellato»

Editrice, filosofa e scrittrice: «Ho scritto un po' di tutto: dalle poesie alle sceneggiature teatrali». Il prossimo obiettivo: una fiera dell'editoria indipendente da organizzare a Verona in estate.

Cinema e teatro da un lato, scrittura e letteratura dall'altro. Era a un bivio Claudia Maschio, scrittrice, editrice, e filosofa: «Alla fine ha prevalso la passione per la scrittura. Ma erano due percorsi complementari: già da ragazzina mi dilettavo a scrivere piccole commediole, che recitavamo insieme ai miei amichetti», racconta.

Padovana di nascita, veronese di adozione: «Mio padre, medico, fu trasferito a Verona come primario di nefrologia all'ospedale di Borgo Trento; era il 1975, io avevo 12 anni, e la mia città è questa».
Vive in Valpolicella, Claudia, a Negrar insieme al marito Fabio, detto "Vecio Sacca" per la sua proverbiale lentezza nel gioco delle carte, ai due figli Clara e Elio, e ai loro inseparabili cani: «Li portiamo a passeggio su per la collina, in città non sarebbe possibile. In Valpolicella stiamo benissimo, l'aria è decisamente più pulita, la vita più sostenibile».

Studi al Liceo Scientifico Fracastoro, quindi la laurea in Sociologia a Trento e il dottorato in Filosofia della Scienza: «Più apprendimenti e più conoscenze hai, meglio riesci a trasmettere concetti di un certo rilievo». Il primo riconoscimento nel 1993, quando Claudia Maschio è tra i dieci finalisti del Premio Andersen«Fiabe, sebbene ami di più lavorare su racconti e romanzi. Diciamo che ho scritto un po’ di tutto, dalle poesie alle sceneggiature teatrali»
Esce il suo primo romanzo Oltre la superficie dello sguardo. In realtà, ci ha messo un bel po’ prima di pubblicarlo: «Non ero convinta, l’ho tenuto anni nel cassetto; non ho grande autostima ma se mi dicono che ciò che faccio, qualcosa, vale, allora un po’ ci credo». 

Tra il 2005 e il 2007 pubblica tre saggi, due sul Natale e uno sul Carnevale. Durante le ricerche, fa l’incontro che le cambia la vita professionale: «A Viterbo conobbi Dario Giansanti; fu lui a darmi delucidazioni sulle origini mitologiche del Natale». Si mettono a scrivere insieme, sentono il bisogno di maggior respiro, così decidono di farsi una casa editrice tutta loro, Vocifuoriscena: «Siamo partiti con 80 euro di budget, e all’inizio è stata molto dura. Abbiamo pubblicato in Italia romanzi stranieri sconosciuti e saggi di mitologia: siamo cresciuti, eravamo in due, oggi siamo in sei. Siamo di nicchia e di strada ne abbiamo da fare ancora molta, ma siamo su quella giusta».

Oltre ai romanzi stranieri e alla saggistica, c’è poi la collana di narrativa italiana: «Una ventina di autori; siamo molto selettivi e la concorrenza è davvero tanta. Siamo distribuiti in tutta Italia, ma ci rivolgiamo esclusivamente alle librerie indipendenti». Odio i film francesi, romanzo del veronese Luca Boschiero, potrebbe presto diventare un film: «Pietro Barana, mio compagno di liceo al Fracastoro, che oggi vive e lavora in Brasile, sta curando la sceneggiatura; io collaboro alla revisione. Sarebbe bello fosse interpretato da attori veronesi, sempre che non lo produca Netflix ovviamente…».

Eh già, perché le cose potrebbero anche andare così. Claudia intanto non ha certo smarrito la vena e continua a scrivere. E sopra splendeva un cielostellato, il suo penultimo lavoro, è frutto dei suoi studi di filosofia etica, in omaggio a Kant: «Morale e cielo stellato, i due elementi che oggi abbiamo perso. Mancano fiducia nella scienza e la morale intesa come applicazione di ciò che è giusto; diversamente, non ci berremmo tutte le fandonie che appaiono su internet e i social. Esempio, ne è il negazionismo in tempi di pandemia. La gente si è comportata bene durante la prima ondata, per paura; è bastato allentare le misure in estate, e si è visto cosa è successo».

Per il futuro non è ottimista: «Vorrei esserlo, ma faccio fatica. La casa brucia e non facciamo nulla. Prendiamo la questione ambientale; dovremmo ormai capire che così non si può andare avanti e che qualcosa va fatto per invertire la rotta e dare un futuro alle nuove generazioni. Una rivoluzione culturale parte da piccoli passi. Questo non significa tornare alle carrozze, ma trovare una strada meno consumistica, questo sì. Abbiamo tutto, e le nostre comodità stanno uccidendo il pianeta. Detto ciò, questo sistema socioeconomico è arrivato al capolinea».

Claudia, che con Dario Giansanti sta lavorando al prossimo romanzo, ha un obiettivo davanti. «Una fiera dell’editoria indipendente a Verona, città senza una vera e propria rappresentanza editoriale. Io ci credo molto. Speriamo possa partire già la prossima estate».
A giugno, sotto «un cielo stellato», con la benedizione di Kant.


Lorenzo Fabiano – Corriere di Verona


domenica 6 dicembre 2020

Video della lezione "Introduzione alla mitologia ungherese" (Parte I)

 


Cari lettori, vi segnaliamo il video relativo alla prima parte della presentazione di Elisa Zanchetta dal titolo "Introduzione alla mitologia ungherese". Elisa ha curato la pubblicazione di una selezione di fiabe popolari (népmesék) raccolte dallo scrittore ungherese székely di Transilvania Benedek  Elek (Kisbacon, rum. Bățanii Mici, 1859-1929) dal titolo C'era una volta o forse non c'era. Fiabe cosmologiche ungheresi. La lezione è stata tenuta nell'ambito del corso di Lingua ungherese - prof.ssa Cinzia Franchi - DISLL, Università di Padova).

https://www.facebook.com/watch/?v=987481091765087

Buona visione!