Illyés Gyula (1902-1983) è un intellettuale razionalista e molto radicato nelle tradizioni. Può essere considerato il vate nazionale. Sono invero i fatti, le aspirazioni, le preoccupazioni di tutto il paese che attraverso la poesia egli cerca di rappresentare per risolvere.
Illyés Gyula nacque nel 1902 Rácegerespuszta, nella provincia di Tolna, da una famiglia contadina e studiò a Kaposvár. Implicato nel primo dopoguerra in un moto insurrezionale per la riforma agraria, dovette fuggire dall’Ungheria. Si ritirò a Parigi dove visse, come scaricatore di porto, commesso di legatoria e insegnante di francese, studiando contemporaneamente alla Sorbona e facendo conoscenza con l’avanguardia poetica francese. Frutto di questo soggiorno furono A francia irodalom kincsesháza (“Tesoro della letteratura francese”) e il suo scritto autobiografico Hunok Párizsban (“Unni a Parigi”). Dopo il reimpatrio, lavorò come impiegato presso una società di assicurazioni e poi per la banca nazionale. Negli anni Venti si inserì nella vita letteraria ungherese. Vinse più volte il premio Baumgarten. Babits Mihály lo prese con sé nella direzione della rivista “Nyugat” che Illyés continuò dopo la morte dell’amico con il titolo di “Magyar csillag”. La stella magiara, redatta da Illyés tra il 1941 e il 1944, fu l’ultimo organo artistico della cultura europea in Ungheria all’epoca della guerra mondiale, un rifugio per gli scrittori ungheresi perseguitati per la loro origine ebraica o per i loro ideali politici, tanto che la pubblicazione fu vietata dopo l’occupazione tedesca del paese nel 1944. Partecipò al movimento del fronte di marzo e alla fondazione della rivista del movimento, “Válasz”; cessata la rivista per la morte del fondatore e direttore, Illyés la ripristinò nel 1946.
Fin dalla pubblicazione della sua opera sociografica intitolata Puszták
népe (“Popolo
delle steppe”) (simile a Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi) nel
1936 egli era considerato come capo spirituale degli scrittori sociografi: per
la prima volta rappresentò davvero fedelmente la dura vita dei braccianti nei
latifondi signorili. Il titolo ha il significato di una metafora: invece di
rappresentare un popolo che vaga nella puszta affrancato e infine
beatificato, Puszták
népe distrugge il quadro idilliaco dei villaggi rurali.
Illyés faceva parte della direzione del Nemzeti parasztpárt (Partito
nazionale contadino), formato per lo più da intellettuali e contadini istruiti
che lottavano per la riforma agraria. Partecipò
alle attività della Società Bartha Miklós, organizzazione dei giovani di
orientamento populistico. A differenza dei suoi compagni poeti restò
nell’associazione anche dopo la svolta a destra, divenendo membro del partito
nazionalsocialista ungherese. Così sintetizza in un appunto del Diario
nel 1935: «Ho sempre avuto un unico obbiettivo. Migliorare il destino dei
contadini senza terra e dei braccianti. Per raggiungere questo scopo mi unisco
a chiunque».
Nei suoi poemi lirici, Három öreg (“Tre vecchi”, 1931) e Fiatalság (“Gioventù”, 1932) scrisse i suoi ricordi
d’infanzia in campagna tra la povera gente; sul piano tematico accetta gli
ideali del movimento populista, mentre dal punto di vista espressivo dà vita a
un verso sciolto molto equilibrato. Nelle sue poesie, raccolte nel volume Szembenézni
(“Guardando in faccia la storia”, 1947) esprime il desiderio di un
rinnovamento democratico dell’Ungheria. Le illusioni sulla costruzione di una
società migliore furono spazzate via dall’ascesa al potere dei comunisti e
dalla politica antidemocratica e anticontadina della dittatura proletaria.
Negli anni Cinquanta Illyés fu messo da parte dalla nuova politica culturale.
Egli poté dare alle stampe un nuovo volume di poesie alla vigilia della
rivoluzione del ’56, Kézfogások (“Strette di mano”).
Durante la rivoluzione fece pubblicare su Irodalmi Újság (“Gazzetta
letteraria”) l’ode Egy
mondat a zsarnokságról (“Una
frase sulla tirannia”), una denuncia retorica dell’atmosfera disumana
dell’oppressione dello stato totalitario. Negli anni Sessanta divenne il punto
di riferimento dei nuovi intellettuali di origine contadina.
Alcuni suoi drammai storici, Fáklyaláng (“Alla luce della fiaccole”, 1952), Tiszták (“I catari”, 1973) ebbero un ruolo importante nella formazione della coscienza storica ungherese nel secondo dopoguerra.
A testimoniare la
poliedricità di Gyula Illyés è anche la sua raccolta di fiabe intitolata
Hetvenhét magyar népmese (“Settentasette fiabe popoli ungheresi”), opera
letteraria in cui l’elemento etnografico passa in secondo piano facendo
prevalete lo stile dell’autore. Rifacendosi ai caratteristici tòpoi della
letteratura popolare, Illyés dà vita a una godibile raccolta di fiabe che
presentano al lettore una gamma sterminata di personaggi e luoghi della
tradizione popolare ungherese: si passa dall’albero che tocca al cielo, allo sárkány,
dalla principessa dispettosa, alla tündér, dalla malefica vasorrú bába al
táltos.
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