Nel 2023 abbiamo ricordato il centenario della nascita di Vilmos Diószegi (1923-1972),
linguista, orientalista ed etnografo ungherese, che dedicò la propria vita allo
studio dello sciamanismo siberiano e ugrofinnico, in particolare ungherese. In occasione di tale ricorrenza, la nostra casa editrice pubblica l’edizione italiana della sua più importante opera
dedicata allo sciamanismo ungherese A pogány magyarok hitvilága (1967)
con il titolo La religione dei magiari pagani (http://www.vocifuoriscena.it/catalogo/titoli-la_religione_dei_magiari_pagani.html). Si tratta di una monografia finalizzata a ricostruire la Weltanschauung
magiara anteriore allo Honfoglalás (“Occupazione della patria”, 896), e in particolare ad
analizzare la figura del táltos, erede degli sciamani uralici, altaici e
siberiani.
La concezione sciamanica del mondo
Secondo le antiche credenze ungheresi il
cosmo è tripartito in felső, középső e alsó világ (“mondo
superiore, intermedio e inferiore”), tra loro congiunti dall’égigérő fa (“albero che tocca il cielo”), ovvero l’axis mundi
della mitologia ungherese. La peculiarità dell’albero
cosmico ungherese consiste nella presenza di corpi celesti lungo il tronco, e
di animali (teste di bovidi e cervidi) tra i rami, concezione sconosciuta agli
indoeuropei, ma comune alla tradizione sciamanica uralica, altaica e siberiana.
La presenza degli animali non costituisce un vezzo decorativo, ma trova la propria
ragion d’essere nella concezione dell’anima duplice (“anima-respiro” e
“anima-ombra”): attraverso la comparazione con il materiale altaico e
siberiano, Diószegi spiega come le
teste teriomorfe simboleggiano le anime dei rispettivi animali, la cui raffigurazione
è volta a propiziarne la riproduzione.
Ai piedi
dell’albero che tocca il cielo si stende il mondo inferiore, che nel folklore
viene dipinto come il regno delle rane, delle lucertole e dei serpenti,
descrizione presente nei resoconti relativi alle iniziazioni del táltos: prima di poter
svolgere tale mansione, il neofita, nel corso di un sonno che si protrae
ininterrottamente per più giorni, viene infatti rapito dagli spiriti e dai táltosok
anziani e condotto nel mondo inferiore per ottenere la conoscenza. Anche in
ambito sciamanico uralico e altaico alle radici dell’albero cosmico si trovano
serpenti, rane, lucertole e pesci.
Il táltos: lo sciamano ungherese
L’attività del táltos è di ordine superiore, fin dalla nascita egli
sa di essere destinato a tale ruolo. Da piccino si comporta in modo diverso
rispetto ai coetanei, in quanto è irrequieto, solitario, si nutre
prevalentemente di latte, e teme le nubi temporalesche. Con il progredire
dell’età i sintomi patologici peggiorano e subentrano visioni, si manifestano
esseri soprannaturali che lo rapiscono. Vana è la resistenza posta dal neofita
e dai congiunti, perché se questi “malvagi” non riescono nel nel loro intento,
il giovane viene storpiato. Anche presso i popoli uralici e altaici, se il
candidato non accetta l’incarico di sciamano, diviene mentecatto, sciancato per
il resto della vita, oppure viene ammazzato.
Secondo la credenza popolare ungherese, i bambini destinati a divenire
creature soprannaturali vengono al mondo con i denti o undici dita. Prima di
acquisire la conoscenza il futuro táltos si ammala: in seguito a violente
percosse, il futuro táltos sprofonda nel sonno, “si nasconde”, pur continuando a respirare e il cuore
a pulsare, e durante questo stato di catalessi ottiene la conoscenza. Presso i popoli
limitrofi l’acquisizione di conoscenza da parte di operatori del magico
equiparabili al táltos si discosta notevolmente, in quanto avviene “attivamente” , mentre nella tradizione magiara ha luogo
in modo “passivo”, poiché il táltos
soltanto in seguito alla violenza perpetrata dalle creature soprannaturali sarà
costretto ad accogliere tale ruolo.
Il “tormento”
costituisce un tratto caratteristico anche dello sciamanismo: la “chiamata” del
futuro sciamano ha luogo in concomitanza con il raggiungimento della maturità
sessuale; il giovane sprofonda in un’acuta crisi nervosa accompagnata da
attacchi isterici, visioni, che si protraggono per settimane, nel corso delle
quali lo spirito protettore che lo ha scelto per tale ruolo, gli compare nel
sonno, gli impone di accettare l’incarico e di accoglierlo come suo spirito
adiutore.
Mentre il táltos giace esanime, il corpo sottostà allo “spezzetttamento”, finalizzato a constatare la presenza di questo osso sovrannumerario, in assenza del quale il neofita non può aspirare a fungere da sciamano/táltos.
“Chiamata” e “smembramento” risultano
tuttavia vani se il candidato táltos non riesce a portare a termine la scalata di un albero altissimo o di una
scala a pioli assai perigliosa. Anche nel patrimonio fiabesco ungherese, l’eroe
scala l’égigérő fa per liberare la
principessa rapita dallo sárkány. A
riuscire in tale impresa, è sempre un fanciullo, proprio come giovane è del pari il neofita che ottiene
la conoscenza. Giunto sulla cima
dell’albero, entra al servizio di una creatura sovrannaturale, e al termine del
periodo di lavoro chiede come compenso il peggior ronzino della mandria, che egli
tuttavia sa essere un táltos-ló (“cavallo-táltos”). Il cavallo-táltos
simboleggia il tamburo dello sciamano magiaro, ovvero la sua “cavalcatura”, termine tradizionalmente impiegato nello sciamanismo per
denotare il tamburo. Anche i paraphernalia dello sciamano altaico
vengono ricavati da un imponente albero sacro. Fintanto che il táltos
non ne entra in possesso, il cavallo-táltos
è un ronzino brutto, magro e sciancato. Dopo averlo lavato e strigliato, il
cavallo-táltos si metamorfosa in un bel destriero dal manto dorato, il
quale si pasce di brace ardente. Questo gruppo di credenze non trova
corrispettivo presso i popoli limitrofi, pertanto costituisce una peculiarità
ungherese.
Il tamburo-cavallo
del táltos presenta numerosi tratti comuni con il tamburo della tradizione
sciamanica, non solo in quanto a struttura (singolo fondo e pendagli) e
funzione, ma anche per la concezione del tamburo come cavalcatura dello
sciamano, e per il rituale della “resurrezione”. Il
cavallo-táltos deve invero essere “resuscitato”
prima di poter fungere da cavalcatura, pertanto viene lavato con acqua, nutrito
con latte o carboni ardenti. Questa descrizione, presente anche
nell’immaginario fiabesco magiaro, trova corrispondenza nella cerimonia di
“resurrezione” del tamburo presso i popoli a credenza sciamanica: prima della
“cavalcata”, ovvero della seduta sciamanica con il conseguente viaggio
siderale, lo sciamano vivifica il proprio strumento aspergendolo con acqua e
latte, e in particolare tenendolo al di sopra del fuoco: questa pratica è
finalizzata a tendere la membrana in pelle per acuirne il rumore prodotto dalla
percussione, così favorendo l’invocazione degli spiriti. Sopravvivenze di
questo tamburo si riscontrano anche nei regösénekek (canti sciamanici
della tradizione ungherese, cantati il 26 dicembre), e Gyula Sebestyén ipotizza
che parimenti i regösök, che si reputano successori degli antichi
sciamani, si servissero del tamburo dal singolo fondo. Dall’analisi delle
filastrocche traspare che il tamburo, accostato al setaccio e al crivello, figura
come strumento per divinare il futuro attraverso il tambureggiamento di chicchi
di granturco, ma anche per operare guarigioni.
Peculiare risulta anche il costume del táltos che ha come tratto
costante il copricapo provvisto di piume d’oca, di gallina o gallo, oppure di
corna (di cervide e bovide). Questa credenza non si riscontra tra i popoli
limitrofi, ma possiamo ritrovare il copricapo piumato o dotato di corna tra i
popoli a credenza sciamanica, pertanto anche sotto questo aspetto la tradizione
ungherese si rivela custode di una concezione invero atavica, che gradualmente
è stata associata quasi esclusivamente alle streghe.
Quando cadono in trance l’anima dei táltosok inizia a
vagabondare. L’estasi in ungherese è detta rejtezés, termine che
letteralmente significa “nascondimento”:
il táltos rimane infatti assopito, come morto, per un certo lasso temporale;
dopodiché si desta ed è in grado di rispondere ai quesiti postigli. La kamlanie
degli operatori del magico ungheresi si discosta da quella dei popoli
limitrofi: si tratta di un’eredità di matrice sciamanica anteriore allo Honfoglalás.
Questa ipotesi viene avvalorata anche dai dati linguistici, tanto più che il
verbo révül/rejt è di origine ugrofinnica, e nello specifico
ugrica. Il “nascondimento”,
l’estasi e il “rapimento” del táltos sono analoghi a quanto si riscontra nello sciamanismo
uralico e altaico. Corrispondenze si rintracciano anche in tratti di secondaria
rilevanza, e Diószegi si focalizza in particolare sullo sbadiglio e sul calore
collegati all’estasi: conformemente alla tradizione sciamanica, lo sbadiglio
indica che lo sciamano/táltos è
pronto ad accogliere dentro di sé lo spirito, la cui presenza è segnalata
dall’aumento del calore corporeo dell’individuo in trance.
Per l’espletamento delle sue funzioni, il táltos assume sembianze
teriomorfe, solitamente di tori dal pelame chiaro o scuro, più raramente di
stalloni. Si dice che durante il “nascondimento” i táltosok mutano di aspetto
per combattere contro un táltos antagonista, e tale scontro è
accompagnato da burrasca e forte vento. Questa concezione risulta del tutto
assente presso i popoli limitrofi, mentre nella tradizione sciamanica è nota la
lotta in sembianze zoomorfe (toro, renna, cervo, stallone). Durante lo scontro
il táltos non fa affidamento solo sulle proprie forze, ma chiede aiuto
ai conscenti, i quali devono picchiare l’avversario con la forca, il badile, al
fine di agevolare la vittoria del proprio táltos; del pari, anche gli
sciamani chiedono alle persone di picchiare l’avversario servendosi della
lancia o del rompighiaccio. Al termine dello scontro il táltos è
esausto, e lo stesso si riscontra presso i popoli sciamanici, perché quanto
accade all’anima-animale dell’incantatore si ripercuote sul possessore, sotto
forma di eccessiva spossatezza, ferite, e finanche la morte. Dal confronto con
la concezione sciamanica si evince anche il significato del teriomorfismo del táltos:
l’aspetto assunto rappresenta la sua
anima-animale che abbandona il corpo nel corso della kamlanie, pertanto
i danni da essa subiti, si ripercuotono sul possessore.
Durante il sonno conseguente al
“nascondimento”, il táltos canta, e del pari il rituale di guarigione della “donna sapiente” è accompagnato dalla preghiera e dal
canto. Questa tipologia di canto risale all’epoca pagana e sue sopravvivenze
sono conservate nei canti popolari associati a determinati rituali (termine del
digiuno quaresimale, periodo natalizio). Tutti questi canti
sono accomunati dall’interiezione “haj”, “hó”, che contribuisce a
formare il verso magico magiaro. Ad attirare l’attenzione del nostro ricercatore è soprattutto il
verso «haj regö rejtem» (“ehi, ti incanto
con il canto”), la cui semantica originaria risulta oggi del tutto oscurata. Secondo le
numerose interpretazioni, questo verso descrive l’azione attribuita agli
sciamani d’epoca pagana, ovvero quella di cadere in estasi e operare incanti cantando.
Attraverso il confronto con i canti sciamanici dei popoli uralici e altaici si
può desumere che questo verso costituisce un’espressione con cui invocare gli
spiriti: anche lo sciamano ricorre a peculiari interiezioni per farli giungere
a sé.
Riprendendo le parole dell’autore stesso,
possiamo concludere che lo sciamanesimo siberiano e ungherese sono due
ingranaggi che si incastrano a perfezione, la cui disamina comparata consente
di rintracciare per le credenze magiare esatti corrispettivi nella Weltanschauung
sciamanica. Si può allora constatare che la cultura popolare ungherese presenta
uno strato molto arcaico che affonda le radici nello sciamanismo.
Per maggiori informazioni sul libro:
Diószegi Vilmos, La religione dei magiari pagani, a cura di Elisa
Zanchetta, Vocifuoriscena. Viterbo 2023.
(Link: http://www.vocifuoriscena.it/catalogo/titoli-la_religione_dei_magiari_pagani.html)