martedì 28 gennaio 2025

Vilmos Diószegi e lo sciamanismo ungherese

 


 

Nel 2023 abbiamo ricordato il centenario della nascita di Vilmos Diószegi (1923-1972), linguista, orientalista ed etnografo ungherese, che dedicò la propria vita allo studio dello sciamanismo siberiano e ugrofinnico, in particolare ungherese. In occasione di tale ricorrenza, la nostra casa editrice  pubblica l’edizione italiana della sua più importante opera dedicata allo sciamanismo ungherese A pogány magyarok hitvilága (1967) con il titolo La religione dei magiari pagani (http://www.vocifuoriscena.it/catalogo/titoli-la_religione_dei_magiari_pagani.html). Si tratta di una monografia finalizzata a ricostruire la Weltanschauung magiara anteriore allo Honfoglalás (“Occupazione della patria”, 896), e in particolare ad analizzare la figura del táltos, erede degli sciamani uralici, altaici e siberiani.


Diószegi Vilmos


La concezione sciamanica del mondo

Secondo le antiche credenze ungheresi il cosmo è tripartito in felső, középső e alsó világ (“mondo superiore, intermedio e inferiore”), tra loro congiunti dall’égigérő fa (albero che tocca il cielo”), ovvero l’axis mundi della mitologia ungherese. La peculiarità dell’albero cosmico ungherese consiste nella presenza di corpi celesti lungo il tronco, e di animali (teste di bovidi e cervidi) tra i rami, concezione sconosciuta agli indoeuropei, ma comune alla tradizione sciamanica uralica, altaica e siberiana. La presenza degli animali non costituisce un vezzo decorativo, ma trova la propria ragion d’essere nella concezione dell’anima duplice (“anima-respiro” e “anima-ombra”): attraverso la comparazione con il materiale altaico e siberiano, Diószegi spiega come le teste teriomorfe simboleggiano le anime dei rispettivi animali, la cui raffigurazione è volta a propiziarne la riproduzione.

Ai piedi dell’albero che tocca il cielo si stende il mondo inferiore, che nel folklore viene dipinto come il regno delle rane, delle lucertole e dei serpenti, descrizione presente nei resoconti relativi alle iniziazioni del táltos: prima di poter svolgere tale mansione, il neofita, nel corso di un sonno che si protrae ininterrottamente per più giorni, viene infatti rapito dagli spiriti e dai táltosok anziani e condotto nel mondo inferiore per ottenere la conoscenza. Anche in ambito sciamanico uralico e altaico alle radici dell’albero cosmico si trovano serpenti, rane, lucertole e pesci.

 

Il táltos: lo sciamano ungherese

L’attività del táltos è di ordine superiore, fin dalla nascita egli sa di essere destinato a tale ruolo. Da piccino si comporta in modo diverso rispetto ai coetanei, in quanto è irrequieto, solitario, si nutre prevalentemente di latte, e teme le nubi temporalesche. Con il progredire dell’età i sintomi patologici peggiorano e subentrano visioni, si manifestano esseri soprannaturali che lo rapiscono. Vana è la resistenza posta dal neofita e dai congiunti, perché se questi “malvagi” non riescono nel nel loro intento, il giovane viene storpiato. Anche presso i popoli uralici e altaici, se il candidato non accetta l’incarico di sciamano, diviene mentecatto, sciancato per il resto della vita, oppure viene ammazzato.

Secondo la credenza popolare ungherese, i bambini destinati a divenire creature soprannaturali vengono al mondo con i denti o undici dita. Prima di acquisire la conoscenza il futuro táltos si ammala: in seguito a violente percosse, il futuro táltos sprofonda nel sonno, “si nasconde”, pur continuando a respirare e il cuore a pulsare, e durante questo stato di catalessi ottiene la conoscenza. Presso i popoli limitrofi l’acquisizione di conoscenza da parte di operatori del magico equiparabili al táltos si discosta notevolmente, in quanto avviene “attivamente” , mentre nella tradizione magiara ha luogo in modo passivo”, poiché il táltos soltanto in seguito alla violenza perpetrata dalle creature soprannaturali sarà costretto ad accogliere tale ruolo.

Il “tormento” costituisce un tratto caratteristico anche dello sciamanismo: la “chiamata” del futuro sciamano ha luogo in concomitanza con il raggiungimento della maturità sessuale; il giovane sprofonda in un’acuta crisi nervosa accompagnata da attacchi isterici, visioni, che si protraggono per settimane, nel corso delle quali lo spirito protettore che lo ha scelto per tale ruolo, gli compare nel sonno, gli impone di accettare l’incarico e di accoglierlo come suo spirito adiutore.

Mentre il táltos giace esanime, il corpo sottostà allo spezzetttamento”, finalizzato a constatare la presenza di questo osso sovrannumerario, in assenza del quale il neofita non può aspirare a fungere da sciamano/táltos.

“Chiamata” e “smembramento” risultano tuttavia vani se il candidato táltos non riesce a portare a termine la scalata di un albero altissimo o di una scala a pioli assai perigliosa. Anche nel patrimonio fiabesco ungherese, l’eroe scala l’égigérő fa per liberare la principessa rapita dallo sárkány. A riuscire in tale impresa, è sempre un fanciullo, proprio come giovane è del pari il neofita che ottiene la conoscenza. Giunto sulla cima dell’albero, entra al servizio di una creatura sovrannaturale, e al termine del periodo di lavoro chiede come compenso il peggior ronzino della mandria, che egli tuttavia sa essere un táltos-ló (“cavallo-táltos”). Il cavallo-táltos simboleggia il tamburo dello sciamano magiaro, ovvero la sua cavalcatura”, termine tradizionalmente impiegato nello sciamanismo per denotare il tamburo. Anche i paraphernalia dello sciamano altaico vengono ricavati da un imponente albero sacro. Fintanto che il táltos non ne entra in possesso, il cavallo-táltos è un ronzino brutto, magro e sciancato. Dopo averlo lavato e strigliato, il cavallo-táltos si metamorfosa in un bel destriero dal manto dorato, il quale si pasce di brace ardente. Questo gruppo di credenze non trova corrispettivo presso i popoli limitrofi, pertanto costituisce una peculiarità ungherese.

Il tamburo-cavallo del táltos presenta numerosi tratti comuni con il tamburo della tradizione sciamanica, non solo in quanto a struttura (singolo fondo e pendagli) e funzione, ma anche per la concezione del tamburo come cavalcatura dello sciamano, e per il rituale della “resurrezione”. Il cavallo-táltos deve invero essere “resuscitato” prima di poter fungere da cavalcatura, pertanto viene lavato con acqua, nutrito con latte o carboni ardenti. Questa descrizione, presente anche nell’immaginario fiabesco magiaro, trova corrispondenza nella cerimonia di “resurrezione” del tamburo presso i popoli a credenza sciamanica: prima della “cavalcata”, ovvero della seduta sciamanica con il conseguente viaggio siderale, lo sciamano vivifica il proprio strumento aspergendolo con acqua e latte, e in particolare tenendolo al di sopra del fuoco: questa pratica è finalizzata a tendere la membrana in pelle per acuirne il rumore prodotto dalla percussione, così favorendo l’invocazione degli spiriti. Sopravvivenze di questo tamburo si riscontrano anche nei regösénekek (canti sciamanici della tradizione ungherese, cantati il 26 dicembre), e Gyula Sebestyén ipotizza che parimenti i regösök, che si reputano successori degli antichi sciamani, si servissero del tamburo dal singolo fondo. Dall’analisi delle filastrocche traspare che il tamburo, accostato al setaccio e al crivello, figura come strumento per divinare il futuro attraverso il tambureggiamento di chicchi di granturco, ma anche per operare guarigioni.

Peculiare risulta anche il costume del táltos che ha come tratto costante il copricapo provvisto di piume d’oca, di gallina o gallo, oppure di corna (di cervide e bovide). Questa credenza non si riscontra tra i popoli limitrofi, ma possiamo ritrovare il copricapo piumato o dotato di corna tra i popoli a credenza sciamanica, pertanto anche sotto questo aspetto la tradizione ungherese si rivela custode di una concezione invero atavica, che gradualmente è stata associata quasi esclusivamente alle streghe.

Quando cadono in trance l’anima dei táltosok inizia a vagabondare. L’estasi in ungherese è detta rejtezés, termine che letteralmente significa “nascondimento”: il táltos rimane infatti assopito, come morto, per un certo lasso temporale; dopodiché si desta ed è in grado di rispondere ai quesiti postigli. La kamlanie degli operatori del magico ungheresi si discosta da quella dei popoli limitrofi: si tratta di un’eredità di matrice sciamanica anteriore allo Honfoglalás. Questa ipotesi viene avvalorata anche dai dati linguistici, tanto più che il verbo révül/rejt è di origine ugrofinnica, e nello specifico ugrica. Il “nascondimento”, l’estasi e il “rapimento” del táltos sono analoghi a quanto si riscontra nello sciamanismo uralico e altaico. Corrispondenze si rintracciano anche in tratti di secondaria rilevanza, e Diószegi si focalizza in particolare sullo sbadiglio e sul calore collegati all’estasi: conformemente alla tradizione sciamanica, lo sbadiglio indica che lo sciamano/táltos è pronto ad accogliere dentro di sé lo spirito, la cui presenza è segnalata dall’aumento del calore corporeo dell’individuo in trance.

Per l’espletamento delle sue funzioni, il táltos assume sembianze teriomorfe, solitamente di tori dal pelame chiaro o scuro, più raramente di stalloni. Si dice che durante il “nascondimento” i táltosok mutano di aspetto per combattere contro un táltos antagonista, e tale scontro è accompagnato da burrasca e forte vento. Questa concezione risulta del tutto assente presso i popoli limitrofi, mentre nella tradizione sciamanica è nota la lotta in sembianze zoomorfe (toro, renna, cervo, stallone). Durante lo scontro il táltos non fa affidamento solo sulle proprie forze, ma chiede aiuto ai conscenti, i quali devono picchiare l’avversario con la forca, il badile, al fine di agevolare la vittoria del proprio táltos; del pari, anche gli sciamani chiedono alle persone di picchiare l’avversario servendosi della lancia o del rompighiaccio. Al termine dello scontro il táltos è esausto, e lo stesso si riscontra presso i popoli sciamanici, perché quanto accade all’anima-animale dell’incantatore si ripercuote sul possessore, sotto forma di eccessiva spossatezza, ferite, e finanche la morte. Dal confronto con la concezione sciamanica si evince anche il significato del teriomorfismo del táltos: l’aspetto assunto rappresenta la sua anima-animale che abbandona il corpo nel corso della kamlanie, pertanto i danni da essa subiti, si ripercuotono sul possessore.




Durante il sonno conseguente al “nascondimento”, il táltos canta, e del pari il rituale di guarigione della “donna sapiente” è accompagnato dalla preghiera e dal canto. Questa tipologia di canto risale all’epoca pagana e sue sopravvivenze sono conservate nei canti popolari associati a determinati rituali (termine del digiuno quaresimale, periodo natalizio). Tutti questi canti sono accomunati dall’interiezione “haj”, “hó”, che contribuisce a formare il verso magico magiaro. Ad attirare l’attenzione del nostro ricercatore è soprattutto il verso «haj regö rejtem» (“ehi, ti incanto con il canto”), la cui semantica originaria risulta oggi del tutto oscurata. Secondo le numerose interpretazioni, questo verso descrive l’azione attribuita agli sciamani d’epoca pagana, ovvero quella di cadere in estasi e operare incanti cantando. Attraverso il confronto con i canti sciamanici dei popoli uralici e altaici si può desumere che questo verso costituisce un’espressione con cui invocare gli spiriti: anche lo sciamano ricorre a peculiari interiezioni per farli giungere a sé.

Riprendendo le parole dell’autore stesso, possiamo concludere che lo sciamanesimo siberiano e ungherese sono due ingranaggi che si incastrano a perfezione, la cui disamina comparata consente di rintracciare per le credenze magiare esatti corrispettivi nella Weltanschauung sciamanica. Si può allora constatare che la cultura popolare ungherese presenta uno strato molto arcaico che affonda le radici nello sciamanismo.

 

 

Per maggiori informazioni sul libro:

Diószegi Vilmos, La religione dei magiari pagani, a cura di Elisa Zanchetta, Vocifuoriscena. Viterbo 2023.

(Link: http://www.vocifuoriscena.it/catalogo/titoli-la_religione_dei_magiari_pagani.html)

 

(di Elisa Zanchetta)

 


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