venerdì 8 dicembre 2023

Il culto di santa Lucia in Ungheria

 


Traducendo la monografia dell'etnologo ungherese Diószegi Vilmos intolata A pogány magyarok hitvilága (lett. "Il patrimonio delle credenze dei magiari pagani"; tit. it. La religione dei magiari pagani), ho avuto modo di approfondire il folklore e i riti popolari ungheresi, molti dei quali da me finora conosciuti solo superficialmente. 


Diószegi Vilmos, La religione dei magiari pagani

Diószegi si dedicò in primis alla disamina comparata dello sciamanismo ungherese, raffrontandolo con i corrispondenti fenomeni altaici e siberiani che aveva avuto modo di studiare durante le sue cinque spedizioni etnografiche in Turchia, Siberia e Mongolia. Verso la fine della sua vita, il suo interesse virò verso le usanze connesse al giorno di santa Lucia (szent Luca in ungherese), in quanto la sua figura si è intrecciata con quella della strega (boszorkány in ungherese), la quale può essere riconosciuta dalle corna che ha sul capo. Si tratto di un tratto sciamanico, originariamente caratteristico del táltos (lo sciamano ungherese), successivamente associato a streghe e stregoni magiari. 

Santa Lucia presenta sfaccettature talmente numerose e incredibilmente interessanti per il suo legame con il paganesimo ungherese, che oggi vorrei parlarvene, presentandovi i materiali impiegati per redigere il glossario alla summenzionata pubblicazione.


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Accanto all’immagine cristiana della santa, in Ungheria sopravvive una sorta di Lucia “maligna”, nota nelle fonti medievali come Luca (sempre derivante dal latino lux), nome che conosceva diverse varianti locali, quali Lucapuca, Luccá (nel villaggio di Hollókő, provincia di Nógrád). Luca era così temuta che, fino a epoche recenti, si evitò di assegnare il suo nome alle neonate, per timore che potessero essere da lei rapite o che risultasse di cattivo auspicio. Giunto nel Paese intorno al IX-X secolo, il culto di Luca si è intrecciato con i rituali connessi alla propiziazione della fertilità che si tenevano nel periodo del solstizio invernale; parimenti la sua figura è andata ad arricchire le schiere di esseri demoniaci che nella concezione comune si aggiravano in queste oscure nottate. Nella notte di szent Luca, ritenuta la più buia dell’anno, si temeva il ritorno dei morti sulla terra. In tale frangente si era soliti nascondere le scope in modo che Luca, immaginata come una strega, non le utilizzasse per spostarsi. Numerosi erano i divieti da osservare, pena punizioni esemplari o danni al bestiame. Severamente proibite erano le occupazioni femminili, in quanto Luca avrebbe punito la massaia incurante del divieto, per esempio picchiandola, pietrificandola, o tramutando in cenere il pane appena sfornato. A Tápiószentmárton (provincia di Pest) si diceva che chi usciva di casa la notte a lei dedicata sarebbe stato aggredito dal maiale nero” di Luca, una delle sembianze zoomorfe a lei associate.

Tradizionalmente Luca assume l’aspetto di uccello, pollo o maiale, animali che ben simboleggiano il suo legame con la fertilità e il mondo contadino. Ampiamente diffuso è il kotyolás (anche palázolás o heverés), rituale apotropaico eseguito dalle massaie, solitamente allo scoccare della mezzanotte del 13 dicembre, e che consiste nel percuotere i polli; essi vengono in seguito monitorati per i successivi dodici giorni, uno per ciascun mese del nuovo anno, al fine di trarre vaticinii circa gli accadimenti venturi. Il termine kotyolás o lucázás (“atteggiarsi da Luca”) si riferisce a un’usanza diffusa nella zona del Transdanubio meridionale e occidentale: all’alba del giorno di santa Lucia, piccoli gruppetti di bambini andavano di casa in casa e, dopo essersi inginocchiati e aver chiesto il permesso, si sedevano su ceppi o paglia che avevano portato con loro e iniziavano a intonare canti per augurare prosperità, abbondanza e buon raccolto. I canti iniziavano con formule quali «Luca-Luca kity-kotty, tojjanak a tiktyok, luggyok» (“Luca, Luca, coccodè, che le galline e le oche depongano uova!”), oppure «kity-koty-kity-koty», espressione onomatopeica che riproduce il verso della chioccia e da cui deriva il termine kotyoló (letteralmente “[colui] che fa coccodè”), che identifica i bambini che prendevano parte a tale rito. La padrona di casa spruzzava i bambini con dell’acqua e versava su di loro dei chicchi di granturco o frumento: il tutto veniva poi raccolto e utilizzato per dare da bere e da mangiare alle oche e alle galline. Dopo aver cantato e recitato le formule, i bambini provvedevano a spargere la paglia per la cucina e poi attendevano che la donna porgesse loro qualche dono che poteva consistere in frutta secca, mele o noci. La paglia sarebbe in seguito stata raccolta e posta nei luoghi in cui galline e oche deponevano le uova, al fine di favorirne una maggiore produzione. Nel caso in cui i bambini non avessero ricevuto nulla in cambio, avrebbero inveito contro la donna, dicendole che sarebbe nato un sol pulcino e pure cieco.

Kotyolás o lucázás

Sporadiche sono invece le attestazioni relative al lucajárás (“passaggio di Luca”), raccolte nel Palócföld, il territorio abitato dai palócok, nell’Ungheria nord-orientale: qui Luca figura in vesti bianche, con il volto celato da una maschera parimenti bianca, e pertanto viene detta anche fehér asszony (la “donna bianca”). Talvolta ci si travestiva da Luca mettendosi in testa un velo bianco e andando a trovare i bambini, premiando i buoni e punendo i cattivi.

Lucajárás

La più nota usanza ungherese connessa al giorno di santa Lucia consisteva nell’intagliare il lucaszék (la “sedia di Luca”): si trattava di un trespolo ricavato da nove diversi tipi di legno (prugnolo selvatico, ginepro, pero, corniola, acero, acacia, abete bianco, cerro e rosa), realizzato a partire dal 13 dicembre e ultimato alla vigilia di Natale. Proprio per questa usanza di intagliare il lucaszék un po’ al giorno, si è diffuso il modo di dire «Lassan keszül, mint a Luca széke» (“Si prepara lentamente come la sedia di Luca”). Secondo la credenza, se colui che aveva fabbricato la sedia la portava all’incrocio di due vie o alla messa di mezzanotte, e vi saliva sopra, poteva individuare le streghe del villaggio, in quanto avevano sul capo delle corna o una piuma. Di conseguenza le streghe cercavano di acciuffare chi le aveva individuate: il fuggiasco, correndo verso casa, doveva lasciare dietro di sé dei semi che le streghe si fermavano inevitabilmente a raccogliere e, così facendo, lasciandogli il tempo di sfuggire alle loro grinfie. Una volta a casa, il lucaszék doveva essere bruciato.


Lucaszék

Molto importante era anche il periodo che precedeva il giorno della santa, nel corso del quale si svolgevano svariati riti magici, eseguiti soprattutto da donne, volti a prevedere il futuro. L’usanza voleva che gli uomini a partire dal giorno di santa Lucia osservassero le condizioni meteorologiche per un periodo di dodici giorni: si supponeva, infatti, che il tempo del primo giorno (14 dicembre) avrebbe simboleggiato le condizioni atmosferiche del primo mese dell’anno, il tempo del secondo giorno (15 dicembre), le condizioni del secondo mese, e via discorrendo. Questi dodici giorni costituivano il cosiddetto Luca kalendáriuma (il “calendario di Luca”). In Transilvania con tale espressione si denota tuttora una pratica con cui i székelyek strappavano dodici strati da una cipolla, li cospargevano di sale e li tenevano in osservazione: gli strati su cui il sale si scioglieva indicavano i mesi piovosi, gli altri sarebbero stati asciutti.

Molti riti legati a Luca si protraggono fino al periodo natalizio. Uno di questi prende il nome di Luca-búza vetése (la semina del frumento di Luca”): la sera della vigilia di santa Lucia, o il giorno stesso, questo “frumento” veniva seminato dalle donne in un piatto riempito con acqua e terriccio, che veniva messo accanto al camino; per la vigilia di Natale il frumento sarebbe già cresciuto di 8-10 cm, divenendo così simbolo del Natale: veniva infatti chiamato anche karácsonyi búza (il “frumento natalizio”). Particolare attenzione veniva posta nell’annaffiarlo correttamente, in quanto il modo in cui il frumento germogliava preannunciava come sarebbe stato il raccolto dell’anno a venire, e pure indicava la prosperità e il benessere della famiglia e del bestiame. Passate le festività natalizie, si era soliti usare questo frumento per dare da mangiare al pollame e ai bovini, al fine di favorire il loro moltiplicarsi, conservarli in salute e prevenire i malanni che li potevano colpire. 

I più importanti riti di questo periodo avevano tuttavia luogo nel cuore pulsante dell’abitazione, ovvero in cucina. Qui, il giorno di santa Lucia si preparavano i gombócok, grandi gnocchi di patate, o altri piccoli dolci, solitamente in numero di dodici o tredici. Ognuno di essi conteneva il nome di un pretendente delle fanciulle, le quali dovevano sceglierne uno per trovarvi il nome del futuro sposo; l’ultimo che rimaneva sarebbe stato il promesso della figlia della padrona di casa. Simile usanza avveniva con i Luca-cédulák (i bigliettini di Luca”): a partire dal 13 dicembre se ne bruciava uno, senza leggere il nome che vi era scritto sopra, e l’ultimo avrebbe contenuto il nome dello sposo voluto dal destino. Nelle previsioni matrimoniali rientrava anche il maiale, in quanto si credeva di poter apprendere la volontà di Luca andando a “bussare” al tettuccio della porcilaia: se il suino grugniva di rimando, allora il numero dei suoi versi avrebbe indicato gli anni di attesa del futuro sposo; se non si riscontrava alcuna reazione, lo sposalizio sarebbe stato imminente.

Era opinione comune che Luca prevedesse anche la morte delle persone: nel Transdanubio meridionale e orientale si era soliti preparare i cosiddetti tollaspogácsák (pogácsák piumati”, noti anche come Lucapogácsák, pogácsák di santa Lucia”), focaccine nelle quali, prima di essere infornate, veniva infilzata una piuma, ognuna delle quali corrispondeva a un congiunto o a un amico. Ultimata la cottura, le focaccine venivano attentamente controllate dai membri della famiglia: la piuma bruciata stava a indicare che la persona simboleggiata sarebbe dipartita l’anno a seguire.



Bibliografia

Andrásfalva Bertalan, Balassa Iván, et. al., Magyar néprajzi lexikon ["Enciclopedia etnografica ungherese"] (5 voll.), Akadémiai Kiadó, Budapest 1982 (https://mek.oszk.hu/02100/02115/html/index.html).

Dömötör Tekla, Régi és mai magyar népszokások ["Usanze popolari ungheresi antiche e odierne"], Néprajz mindenkinek, 3, Tankönyvkiadó, Budapest 1986.

Rózsnyoi Zsuzsanna, La metamorfosi di santa Lucia nella letteratura e nei riti popolari ungheresi, in Sciamani, letterati e artisti. Dalla Lapponia al cuore dell’Europa, a cura di Giorgia Ferrari e Sanna Maria Martin, pp. 163-228, Aracne, Roma 2016.


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