venerdì 16 maggio 2025

Arany János

 



«Gli altri colgono il lauro foglia per foglia, a te occorre darne subito tutt’una corona». Sono due versi di una lettera poetica con la quale il poeta Petőfi Sándor saluta Arany János quando questi viene premiato per il suo poema popolare Toldi (1847). Contestualmente segna anche l’inizio del carteggio tra i due poeti che durerà solo due anni, interrotto dalla morte di Petőfi. Quest’ultimo sperava che Arany continuasse quello che lui aveva iniziato, ovvero il rinnovamento della poesia attraverso spiriti popolari e il legame con la fantasia popolare attuando quello che era tipico del romanticismo ungherese.

Arany János è il poeta epico per antonomasia. Assieme a Vörösmarty Mihály e Petőfi Sándor forma la triade poetica più importante della letteratura ungherese del XIX secolo. Senza il contributo di Arany non solo la lirica ma anche la stessa lingua ungherese non si sarebbe arricchita di termini ed espressioni che costituiscono il maggior dono che Arany lasciò in eredità al popolo ungherese. La riscoperta e l’uso del ritmo e dei metri della tradizione metrica ungherese assieme a una ricerca della poesia magiara del XVIII secolo fanno di Arany il grande bardo della letteratura nazionale ungherese, la quale rinasce proprio con la sua produzione lirica.

Arany nacque a Nagyszalonta nel 1817 come ultimo di dieci figli di una coppia anziana di contadini, nobili decaduti. Otto dei dieci figli perirono di malattia, solo la primogenita e l’ultimo sopravvissero. Dopo dieci anni di studio nella cittadina natale, Arany si iscrive al collegio calvinista di Debrecen ma per mancanza di mezzi deve interrompere dopo il primo semestre. Si trasferisce come insegnante elementare a Kisujszállás, dopo un anno torna a Debrecen con ottime referenze e riesce a concludere un altro anno. Si istruisce come autodidatta: apprende il tedesco e il francese, in seguito anche inglese, italiano e greco, traduce l’Eneide, lavoro andato perduto, si cimenta nella pittura e nella scultura, impara a suonare la chitarra; abbandona poi la scuola e si fa assumere in una compagnia di attori ma dopo sei mesi la compagnia si scioglie e Arany torna alla casa paterna dove lo attendono il padre cieco e la madre ammalata. Per tre anni lavora come maestro elementare supplente a Nagyszalonta, nel 1839 viene assunto come impiegato del comune e dopo un anno diventa vicecancelliere. Si sposa e sotto l’influsso del rettore del ginnasio locale, riprende il lavoro letterario. Nell’insurrezione del ’48 presta servizio militare per due mesi, poi viene assunto nel ministero degli interni.

Delle traduzioni di Arany ci sono pervenute le versioni shakespeariane de Il sogno di una notte di mezz’estate, Amleto e re Giovanni, tutto il teatro di Aristofane, parte del primo canto dell’Orlando furioso, etc. Con Arany la traduzione poetica, di ottima qualità già prima di lui, giunge alla perfezione formale, contenutistica e stilistica dell’originale. Infatti con Arany la traduzione diviene un genere” coltivato da tutti i poeti perché considerato un passaggio obbligato per affinare i propri mezzi e dall’altro un compito culturale di rilevanza nazionale. Secondo Arany il poeta ha il compito non di mescolarsi al popolo incolto e di uniformarsi a esso, ma di imparare a rappresentare anche le più sublimi bellezze poetiche in una forma che possa comprendere e godere anche il popolo. Si tratta quindi di populismo estetico.

Oltre alla trilogia Toldi e alla trilogia unna (Kaveháza, Buda halála, Csaba királyfi) rimasta incomputa, Arany scrisse due poemi politico-satirici, una fiaba, un poema psicologico e uno autobiografico e una nutrita serie di poesie tra cui spiccano le ballate nelle quali rivivono antiche cronache e leggende.

Il capolavoro di Arany è la trilogia Toldi nella quale l’ordine del racconto non coincide con l’ordine cronologico della composizione. Toldi (1846) è un “racconto poetico popolare” che tratta la giovinezza del protagonista; Toldi estéje (pronto fin dal 1848, ma pubblicato nel 1854) si occupa della sera di Toldi e il tono diviene umoristico e sentimentale. Toldi szerelme (1879) è un poema romantico ambientato nel rinascimento e, per la tematica, si innesta nelle prime due parti. Solamente la forma poetica è costante in tutta la trilogia: si tratta di strofe di otto versi dodecasillabi con rime baciate.

Con János Vitéz, Petőfi aveva cercato di dare luce al poema epico popolare o comunque a un poema dove il protagonista fosse di estrazione popolare. Ma l’elemento favoloso che Petőfi aveva introdotto nel suo poemetto distaccava il personaggio dal vero e proprio ambito popolare. L’obbiettivo di Arany fu quello di creare un’epica popolare innestata nel movimento romantico volto a valorizzare l’elemento popolare. Al centro del suo poema epico popolare Arany pone una figura già nota nella letteratura, un personaggio che aveva già sollecitato la fantasia popolare: Toldi, che compare per la prima volta in un breve poema di quattrocento versi di Ilosvai Salymes Péter. Non si sa se si tratti di un personaggio inventato da Ilosvai e poi passato nella coscienza popolare oppure se si tratti di un personaggio realmente esistito. Il Toldi è un gigante, una sorta di Ercole magiaro, contadinesco ma generoso, semplice ma giusto. In questo modo la gente dei villaggi vede impersonate le proprie caratteristiche. Il poema si svolge sullo sfondo del Medioevo più rustico che cavalleresco. Toldi è avvolto nel calore degli affetti familiari verso la madre, il fido staffiere Bence e anche verso il fratello ostile.

 

 


Illyés Gyula

 



Illyés Gyula (1902-1983) è un intellettuale razionalista e molto radicato nelle tradizioni. Può essere considerato il vate nazionale. Sono invero i fatti, le aspirazioni, le preoccupazioni di tutto il paese che attraverso la poesia egli cerca di rappresentare per risolvere.

Illyés Gyula nacque nel 1902 Rácegerespuszta, nella provincia di Tolna, da una famiglia contadina e studiò a Kaposvár. Implicato nel primo dopoguerra in un moto insurrezionale per la riforma agraria, dovette fuggire dall’Ungheria. Si ritirò a Parigi dove visse, come scaricatore di porto, commesso di legatoria e insegnante di francese, studiando contemporaneamente alla Sorbona e facendo conoscenza con l’avanguardia poetica francese. Frutto di questo soggiorno furono A francia irodalom kincsesháza (Tesoro della letteratura francese”) e il suo scritto autobiografico Hunok Párizsban (Unni a Parigi”). Dopo il reimpatrio, lavorò come impiegato presso una società di assicurazioni e poi per la banca nazionale. Negli anni Venti si inserì nella vita letteraria ungherese. Vinse più volte il premio Baumgarten. Babits Mihály lo prese con sé nella direzione della rivista Nyugat” che Illyés continuò dopo la morte dell’amico con il titolo di Magyar csillag”. La stella magiara, redatta da Illyés tra il 1941 e il 1944, fu l’ultimo organo artistico della cultura europea in Ungheria all’epoca della guerra mondiale, un rifugio per gli scrittori ungheresi perseguitati per la loro origine ebraica o per i loro ideali politici, tanto che la pubblicazione fu vietata dopo l’occupazione tedesca del paese nel 1944. Partecipò al movimento del fronte di marzo e alla fondazione della rivista del movimento, Válasz”; cessata la rivista per la morte del fondatore e direttore, Illyés la ripristinò nel 1946.

Fin dalla pubblicazione della sua opera sociografica intitolata Puszták népe (“Popolo delle steppe”) (simile a Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi) nel 1936 egli era considerato come capo spirituale degli scrittori sociografi: per la prima volta rappresentò davvero fedelmente la dura vita dei braccianti nei latifondi signorili. Il titolo ha il significato di una metafora: invece di rappresentare un popolo che vaga nella puszta affrancato e infine beatificato, Puszták népe distrugge il quadro idilliaco dei villaggi rurali.

Illyés faceva parte della direzione del Nemzeti parasztpárt (Partito nazionale contadino), formato per lo più da intellettuali e contadini istruiti che lottavano per la riforma agraria. Partecipò alle attività della Società Bartha Miklós, organizzazione dei giovani di orientamento populistico. A differenza dei suoi compagni poeti restò nell’associazione anche dopo la svolta a destra, divenendo membro del partito nazionalsocialista ungherese. Così sintetizza in un appunto del Diario nel 1935: «Ho sempre avuto un unico obbiettivo. Migliorare il destino dei contadini senza terra e dei braccianti. Per raggiungere questo scopo mi unisco a chiunque».

Nei suoi poemi lirici, Három öreg (Tre vecchi”, 1931) e Fiatalság (Gioventù”, 1932) scrisse i suoi ricordi d’infanzia in campagna tra la povera gente; sul piano tematico accetta gli ideali del movimento populista, mentre dal punto di vista espressivo dà vita a un verso sciolto molto equilibrato. Nelle sue poesie, raccolte nel volume Szembenézni (“Guardando in faccia la storia”, 1947) esprime il desiderio di un rinnovamento democratico dell’Ungheria. Le illusioni sulla costruzione di una società migliore furono spazzate via dall’ascesa al potere dei comunisti e dalla politica antidemocratica e anticontadina della dittatura proletaria. Negli anni Cinquanta Illyés fu messo da parte dalla nuova politica culturale. Egli poté dare alle stampe un nuovo volume di poesie alla vigilia della rivoluzione del ’56, Kézfogások (“Strette di mano”). Durante la rivoluzione fece pubblicare su Irodalmi Újság (“Gazzetta letteraria”) l’ode Egy mondat a zsarnokságról (“Una frase sulla tirannia”), una denuncia retorica dell’atmosfera disumana dell’oppressione dello stato totalitario. Negli anni Sessanta divenne il punto di riferimento dei nuovi intellettuali di origine contadina.

Alcuni suoi drammai storici, Fáklyaláng (Alla luce della fiaccole”, 1952), Tiszták (I catari”, 1973) ebbero un ruolo importante nella formazione della coscienza storica ungherese nel secondo dopoguerra. 

A testimoniare la poliedricità di Gyula Illyés è anche la sua raccolta di fiabe intitolata Hetvenhét magyar népmese (“Settentasette fiabe popoli ungheresi”), opera letteraria in cui l’elemento etnografico passa in secondo piano facendo prevalete lo stile dell’autore. Rifacendosi ai caratteristici tòpoi della letteratura popolare, Illyés dà vita a una godibile raccolta di fiabe che presentano al lettore una gamma sterminata di personaggi e luoghi della tradizione popolare ungherese: si passa dall’albero che tocca al cielo, allo sárkány, dalla principessa dispettosa, alla tündér, dalla malefica vasorrú bába al táltos.