mercoledì 1 aprile 2015

"Il bove Pio alla stazione d'autunno", romanzo giovanile di Giosuè Carducci

Con un vero e proprio scoop editoriale, la piccola casa editrice Vocifuoriscena propone la prima edizione assoluta di un romanzo giovanile di Giosuè Carducci, riscoperto dal professor Oliviero Canetti all'interno della fodera di una cartellina esattoriale abbandonata dal 1885 negli archivi della vecchia biblioteca scolastica di Castelsardo, in provincia di Sassari.
«Praticamente ritrovato in un nurago!» scherza Canetti nel corso di un'affollata conferenza stampa tenutasi nell'aula magna della facoltà di lettere, all'Università di Sassari, dove il professore ha tenuto cattedra per molti anni. «Certamente, alla luce di questa scoperta, dovremmo rivedere l'intera biografia carducciana. Capire come e perché, in una fase precoce del suo percorso letterario, il Carducci abbia abbandonato il romanzo per dedicarsi alla poesia.»
Per quanto pecchi di qualche ingenuità, infatti, Il bove Pio alla stazione d'autunno è un capitolo prezioso nella grande stagione del romanzo ottocentesco europeo. Scritto tra il 1844 e il 1850, si avvertono profonde suggestioni romantiche, che rimandano a evidenti letture del Goethe e di altri tedeschi, ma sono anche presenti elementi simbolisti e stilistici che preludono addirittura all'iconografia del primo Novecento.




«La struttura è quella del Bildungroman, sebbene il romanzo manchi di un vero e proprio centro narrativo. L'economia della trama, tuttavia, rivela un istinto sorprendente nella composizione dell'intreccio e nell'introspezione psicologica, anche vista la giovane età del Carducci, praticamente in età scolare» ride Canetti. «Ci vorranno anni affinché i nostri critici letterari possano trarne un giudizio complessivo equilibrato.»
La trama del romanzo è piuttosto lineare. Un cacciatore sta sull'uscio a rimirar un bove, indeciso se sparargli e farne bistecche, quando un poeta (nel quale si ravvisa il giovane Carducci) interviene a difendere l'animale. Nel corso della colluttazione, il bove fugge dai pascoli liberi e fecondi e s'inerpica sugli irti colli mentre il cacciatore gli va sparando a sale. Ma il poeta, ammirando il bovino indugiare, solenne come un monumento, alle fonti del Clitumno, ricorda nonna Lucia e la sua infanzia a Bolgheri, dove nessuno era vegano, nemmeno san Guido, e dove i bovi maremmani al giogo s'inchinavano contenti, con gran soddisfazione degli allevatori che non dovevano convincerli con idilli locali e stupide dichiarazioni d'amore. Il romanzo si conclude in un sentito e sofferto afflato politico: dodici bovi si suicidano in duplice filar per protestare contro i moti del '48. I placidi ruminanti vengono sepolti tra pianti antichi: sei nella terra fredda e altri sei nella terra negra.
Un romanzo da leggere in stazione, possibilmente in autunno. In esclusiva su
Vocifuoriscena.

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