Traducendo la monografia dell'etnologo ungherese Diószegi Vilmos intolata A pogány magyarok hitvilága (lett. "Il patrimonio delle credenze dei magiari pagani"; tit. it. La religione dei magiari pagani), ho avuto modo di approfondire il folklore e i riti popolari ungheresi, molti dei quali da me finora conosciuti solo superficialmente.
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Diószegi Vilmos, La religione dei magiari pagani |
Diószegi si dedicò in primis alla disamina comparata dello sciamanismo ungherese, raffrontandolo con i corrispondenti fenomeni altaici e siberiani che aveva avuto modo di studiare durante le sue cinque spedizioni etnografiche in Turchia, Siberia e Mongolia. Verso la fine della sua vita, il suo interesse virò verso le usanze connesse al giorno di santa Lucia (szent Luca in ungherese), in quanto la sua figura si è intrecciata con quella della strega (boszorkány in ungherese), la quale può essere riconosciuta dalle corna che ha sul capo. Si tratto di un tratto sciamanico, originariamente caratteristico del táltos (lo sciamano ungherese), successivamente associato a streghe e stregoni magiari.
Santa Lucia presenta sfaccettature talmente numerose e incredibilmente interessanti per il suo legame con il paganesimo ungherese, che oggi vorrei parlarvene, presentandovi i materiali impiegati per redigere il glossario alla summenzionata pubblicazione.
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Accanto
all’immagine cristiana della santa, in Ungheria sopravvive una sorta di Lucia
“maligna”, nota nelle fonti medievali come Luca
(sempre derivante dal latino lux), nome che conosceva diverse varianti
locali, quali Lucapuca, Luccá (nel villaggio di Hollókő,
provincia di Nógrád).
Luca era così temuta che, fino a epoche recenti, si evitò di assegnare il suo
nome alle neonate, per timore che potessero essere da lei rapite o che risultasse di cattivo auspicio. Giunto nel Paese intorno
al IX-X secolo, il culto di Luca si è intrecciato con i rituali connessi alla
propiziazione della fertilità che si tenevano nel periodo del solstizio invernale;
parimenti la sua figura è andata ad arricchire le schiere di esseri demoniaci
che nella concezione comune si aggiravano in queste oscure nottate. Nella notte
di szent Luca, ritenuta la più buia
dell’anno, si temeva il ritorno dei morti sulla terra. In tale frangente si era
soliti nascondere le scope in modo che Luca, immaginata come una strega, non le
utilizzasse per spostarsi. Numerosi erano i divieti da osservare, pena
punizioni esemplari o danni al bestiame. Severamente proibite erano le occupazioni
femminili, in quanto Luca avrebbe punito la massaia incurante del divieto, per
esempio picchiandola, pietrificandola, o tramutando in cenere il pane appena
sfornato. A Tápiószentmárton (provincia di Pest) si diceva che chi
usciva di casa la notte a lei dedicata sarebbe stato aggredito dal “maiale nero”
di Luca, una delle sembianze zoomorfe a lei associate.
Tradizionalmente Luca assume l’aspetto di uccello, pollo o maiale,
animali che ben simboleggiano il suo legame con la fertilità e il mondo contadino. Ampiamente
diffuso è il kotyolás (anche palázolás o heverés), rituale
apotropaico eseguito dalle massaie, solitamente allo scoccare della mezzanotte
del 13 dicembre, e che consiste nel percuotere i polli; essi vengono in seguito
monitorati per i successivi dodici giorni, uno per ciascun mese del nuovo anno,
al fine di trarre vaticinii circa gli accadimenti venturi. Il termine kotyolás o lucázás (“atteggiarsi
da Luca”) si riferisce a un’usanza diffusa nella zona del Transdanubio
meridionale e occidentale: all’alba del giorno di santa Lucia, piccoli
gruppetti di bambini andavano di casa in casa e, dopo essersi inginocchiati e
aver chiesto il permesso, si sedevano su ceppi o paglia che avevano portato con
loro e iniziavano a intonare canti per augurare
prosperità, abbondanza e buon raccolto. I canti iniziavano con formule quali «Luca-Luca
kity-kotty, tojjanak a tiktyok, luggyok» (“Luca, Luca, coccodè, che le
galline e le oche depongano uova!”), oppure «kity-koty-kity-koty»,
espressione onomatopeica che riproduce il verso della chioccia e da cui deriva
il termine kotyoló (letteralmente “[colui] che fa coccodè”), che
identifica i bambini che prendevano parte a tale rito. La padrona di casa
spruzzava i bambini con dell’acqua e versava su di loro dei chicchi di
granturco o frumento: il tutto veniva poi raccolto e utilizzato per dare da
bere e da mangiare alle oche e alle galline. Dopo aver cantato e recitato le
formule, i bambini provvedevano a spargere la paglia per la cucina e poi
attendevano che la donna porgesse loro qualche dono che poteva consistere in
frutta secca, mele o noci. La paglia sarebbe in seguito stata raccolta e posta
nei luoghi in cui galline e oche deponevano le uova, al fine di favorirne una
maggiore produzione. Nel caso in cui i bambini non avessero ricevuto nulla in
cambio, avrebbero inveito contro la donna, dicendole che sarebbe nato un sol
pulcino e pure cieco.
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Kotyolás o lucázás |
Sporadiche sono
invece le attestazioni relative al lucajárás (“passaggio di Luca”), raccolte
nel Palócföld, il territorio abitato dai palócok,
nell’Ungheria
nord-orientale: qui Luca figura in vesti bianche, con il volto celato
da una maschera parimenti bianca, e pertanto viene detta anche fehér asszony
(la “donna
bianca”). Talvolta ci si travestiva da Luca mettendosi in testa un velo bianco
e andando a trovare i bambini, premiando i buoni e punendo i cattivi.
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Lucajárás |
La più nota usanza
ungherese connessa al giorno di santa Lucia consisteva nell’intagliare il lucaszék
(la “sedia di Luca”): si trattava di un trespolo ricavato da nove diversi tipi
di legno (prugnolo selvatico, ginepro, pero, corniola, acero, acacia, abete
bianco, cerro e rosa), realizzato a partire dal 13 dicembre e ultimato alla
vigilia di Natale. Proprio per questa usanza di intagliare il lucaszék
un po’ al giorno, si è diffuso il modo di dire «Lassan keszül, mint a Luca széke» (“Si prepara lentamente come la sedia di Luca”). Secondo la
credenza, se colui che aveva fabbricato la sedia la portava all’incrocio di due
vie o alla messa di mezzanotte, e vi saliva sopra, poteva individuare le
streghe del villaggio, in quanto avevano sul capo delle corna o una piuma. Di
conseguenza le streghe cercavano di acciuffare chi le aveva individuate: il
fuggiasco, correndo verso casa, doveva lasciare dietro di sé dei semi che le
streghe si fermavano inevitabilmente a raccogliere e, così facendo, lasciandogli
il tempo di sfuggire alle loro grinfie. Una volta a casa, il lucaszék
doveva essere bruciato.
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Lucaszék |
Molto importante
era anche il periodo che precedeva il giorno della santa, nel corso del quale
si svolgevano svariati riti magici, eseguiti soprattutto da donne, volti a
prevedere il futuro. L’usanza voleva che gli uomini a partire dal giorno di
santa Lucia osservassero le condizioni meteorologiche per un periodo di dodici
giorni: si supponeva, infatti, che il tempo del primo giorno (14 dicembre)
avrebbe simboleggiato le condizioni atmosferiche del primo mese dell’anno, il
tempo del secondo giorno (15 dicembre), le condizioni del secondo mese, e via
discorrendo. Questi dodici giorni costituivano il cosiddetto Luca
kalendáriuma (il “calendario di Luca”). In Transilvania con tale
espressione si denota tuttora una pratica con cui i székelyek
strappavano dodici strati da una cipolla, li cospargevano di sale e li tenevano
in osservazione: gli strati su cui il sale si scioglieva indicavano i mesi
piovosi, gli altri sarebbero stati asciutti.
Molti riti legati
a Luca si protraggono fino al periodo natalizio. Uno di questi prende il nome
di Luca-búza vetése (la “semina del
frumento di Luca”): la sera della vigilia di santa Lucia, o il giorno stesso, questo “frumento” veniva seminato
dalle donne in un piatto riempito con acqua e terriccio, che veniva messo
accanto al camino; per la vigilia di Natale il frumento sarebbe già cresciuto di
8-10 cm, divenendo così simbolo del Natale: veniva infatti chiamato anche karácsonyi
búza (il “frumento natalizio”). Particolare attenzione veniva posta
nell’annaffiarlo correttamente, in quanto il modo in cui il frumento germogliava
preannunciava come sarebbe stato il raccolto dell’anno a venire, e pure indicava
la prosperità e il benessere della famiglia e del bestiame. Passate le festività natalizie, si era soliti usare questo
frumento per dare da mangiare al pollame e ai bovini, al fine di favorire il
loro moltiplicarsi, conservarli in salute e prevenire i malanni che li potevano
colpire.
I più importanti
riti di questo periodo avevano tuttavia luogo nel cuore pulsante
dell’abitazione, ovvero in cucina. Qui, il giorno di santa Lucia si preparavano
i gombócok, grandi gnocchi di patate, o altri
piccoli dolci, solitamente in numero di dodici o tredici. Ognuno di essi
conteneva il nome di un pretendente delle fanciulle, le quali dovevano
sceglierne uno per trovarvi il nome del futuro sposo; l’ultimo che rimaneva sarebbe
stato il promesso della figlia della padrona di casa. Simile usanza avveniva
con i Luca-cédulák (i “bigliettini
di Luca”): a partire dal 13 dicembre se ne bruciava uno, senza leggere il nome
che vi era scritto sopra, e l’ultimo avrebbe contenuto il nome dello sposo voluto dal destino. Nelle previsioni matrimoniali rientrava anche il maiale, in quanto si credeva di poter apprendere la volontà di Luca andando a “bussare” al tettuccio della porcilaia: se il suino grugniva di rimando, allora il numero dei suoi versi avrebbe indicato gli anni di attesa del futuro sposo; se non si riscontrava alcuna reazione, lo sposalizio sarebbe stato imminente.
Era opinione comune che Luca prevedesse anche la morte
delle persone: nel Transdanubio meridionale e orientale si era soliti preparare
i cosiddetti tollaspogácsák (“pogácsák
piumati”, noti anche come Lucapogácsák, “pogácsák di
santa Lucia”), focaccine nelle quali, prima di essere infornate, veniva
infilzata una piuma, ognuna delle quali corrispondeva a un congiunto o a un
amico. Ultimata la cottura, le focaccine venivano attentamente controllate dai
membri della famiglia: la piuma bruciata stava a indicare che la persona
simboleggiata sarebbe dipartita l’anno a seguire.