Partiamo da una domanda “semplice”: chi è G. Luca Boschiero?
Non saprei. Così, a occhio, il tipo che compare nella foto.
Scrivi seguendo un metodo, o ti affidi all’istinto? E, se la seconda, quale tipo di istinto?
Metodo: immaginata la storia parto da prologo, poi epilogo e quindi scena centrale. Costituita l’ossatura comincia il duro lavoro.
Con Vocifuoriscena hai pubblicato, come romanzo di esordio, Emilio e il professore, che racconta i possibili retroscena della vita di Emilio Salgari e di Cesare Lombroso, ma anche forse della città in cui vivi.
Amo Verona, è una città che mi fornisce molti spunti narrativi. Mi piace raccontarla e descriverla. Il monumento a Cesare Lombroso, così inquietante e gotico (non nella forma ma nella sua essenza), è stato una grande fonte di ispirazione.
Se dovessi definirlo come genere, quale etichetta applicheresti a Emilio e il professore?
Steampunk a zero impatto tecnologico.
In quale personaggio di questo romanzo ti riconosci di più e perché?
Il nobile Alvise, una brava persona, fondamentalmente frustrata, che ha occasione di riscattarsi.
Passiamo a Odio i film francesi e Ritorno al Filmondo, pubblicati in un unico volume. Raccontaci come sono nati questi romanzi e quali vicissitudini editoriali hanno attraversato prima di approdare a Vocifuoriscena.
Il primo romanzo è stato pubblicato da RAI-ERI ma, purtroppo, non promosso. Se la RAI mettesse in sinergia tutto quello che produce credo che i suoi conti non sarebbero in rosso. Invece la mano destra non sa cosa fa la sinistra. Poi l’ho ripubblicato in proprio, con il seguito. Poi è arrivata VFS.
Il protagonista, in questo caso, è un tale Luca Boschiero, il cui nome nei film francesi viene storpiato in Boschieró. Ma sei davvero tu? Quali differenze vi sono tra Boschiero e Boschieró.
Nessuna.
In fatto di innovazioni, i tuoi due romanzi ambientati nel Filmondo scherzano non poco. La metaletteratura esisteva già prima, vedi Calvino, Queneau, Cervantes. E anche il cinema ha utilizzato i metalivelli spesso e volentieri, vedi Woody Allen e Mel Brooks, sempre a titolo di esempio. Tu hai fatto un passo avanti: hai reso il cinema metaletterario. Una scelta a monte, o un’intuizione geniale?
Diciamo un’intuizione. Il cinema ha trattato abbondantemente il tema dell’Oltreschermo (dopo l’Oltreschermo c’è il Filmondo…): io ho trattato il tema in letteratura. Il livello di complicazione si impenna, poiché sappiamo che il Filmondo è contiguo al Libromondo e al Fumettomondo. In queste terre di confine sono nati numerosissimi frutti, anche se non sempre belli a vedersi. Se si facesse un film sul mio libro si andrebbe in loop.
Odi davvero i film francesi?
Non mi piace quando lo stile diventa maniera. In quei casi la mia irritazione può tramutarsi in odio. A cavallo tra la fine degli anni ’60 e i ’70, il cinema francese ha imboccato la strada del manierismo, inzuppato di vezzi, stereotipi stilistici e cliché. Un cine-rococò insopportabile. Ma visto che detesto in egual misura il manierismo di Fellini post Dolce vita (le “fellinate”) non posso certo essere tacciato di xenofobia.
Come concili la scrittura con i rapporti familiari, il lavoro e via dicendo? Hai un orario preferito per scrivere?
Quando avevo una famiglia era dura, nessuno doveva disturbare il processo creativo e scrivevo di sera e il sabato e la domenica. Ora che una famiglia non l’ho più, ogni momento è buono per scrivere e, quindi, non scrivo più.
Secondo te un autore può scrivere tutto quello che gli passa per la testa, o il rapporto con il pubblico gli impone delle restrizioni?
L’unico impedimento è il rapporto con sé stesso. Il pubblico non esiste, nel senso che è un’entità virtuale.
Perché hai deciso di metterti a scrivere? Non ci sono già abbastanza persone che mettono a rischio l’ecosistema sprecando carta stampata?
Sì, e io voglio essere una di loro.
Quali scrittori costituiscono il tuo punto di riferimento letterario? O forse dovrei dire… quali registi?
Scrittori; John Fante di Chiedi alla polvere per la narrazione in prima persona, Stephen King per la descrizione alla moviola degli stati d’animo; Dan Simmons e Il primo Philip José Farmer per i metauniversi; Tom Sharp per lo humour, Kurt Vonnegut per la composizione narrativa, James Ellroy e Jim Thompson per il ritmo. Registi: Don Siegel e Sam Packinpah per il racconto; Monicelli è il più grande degli italiani e Joseph Losey lo considero un genio.
I tuoi prossimi progetti letterari?
Finire Rami elementari, terza parte della saga di Zeno Santini. Genere: giallo omoeopaticamente surreale. Io adoro Zeno. Poi ho in testa il plot della terza parte della saga del Filmondo, ma dubito vedrà mai la luce.
Grazie, Luca, per la tua disponibilità e simpatia. A presto!
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