martedì 23 marzo 2021

"Niuru", raccontato da Michele Branchi

 Niuru - Il diavolo dei Nebrodi


Successivo a Focu e Faiddi, insieme al quale costituisce un dittico siciliano incentrato sullo stesso paese ubicato sui monti Nebrodi, da me denominato San Patrizio, Niuru registra i cambiamenti verificatisi qualche anno dopo le vicende narrate nel primo romanzo.
Se prima il potere era incarnato nei notabili locali, la cui visibilità si mostrava sotto gli occhi di tutti, ora è evanescente e frazionato nella mediocrità di uomini privi di spessore e personalità, che brigano sott’acqua per spartirsi i proventi illeciti ricavati dalla corruzione e dai bilanci contraffatti.
San Patrizio è un microcosmo che riflette le trasformazioni in atto nella nazione, a seguito del crollo della prima repubblica. Le forme rappresentative dei vecchi autoritarismi connessi a centri di potere ben delineati e riconoscibili, cristallizzati da decenni, si sono aggiornate occultandosi dietro le apparenze della legalità e della democrazia. 

In questo contesto e in una atmosfera medio bassa, di passiva acquiescenza, si sviluppa una nuova storia, con personaggi del tutto diversi rispetto alla precedente. Il nucleo propulsivo della narrazione si irraggia dal dottor Vincenzo Monastra, medico e intellettuale, agnostico, scettico e disilluso, con sopite ambizioni politiche: un giorno, in ambulatorio, riceve la confessione di Nino Mantineo, piccolo imprenditore edile, onesto e benvoluto, che mentre si trovava nel suo orto, presso l’antico centro medioevale del paese, ha udito una voce proveniente dal silenzio della terra, che gli intimava: «Se non vuoi morire, uccidi!».

Nino Mantineo sparisce misteriosamente, ricompare e compie un massacro, sotto gli occhi di un testimone. Quindi, si volatilizza. I carabinieri lo ricercano inutilmente. Il dottor Monastra, un uomo troppo intelligente e troppo solo, comincia a investigare per suo conto, turbato da quell’imperativo categorico che ha fatto impazzire Mantineo, e che diverrà il leit motiv della vicenda. 

Quale depositario delle ultime confidenze dell’assassino, il medico attira presto i sospetti degli inquirenti. A dargli una mano spunterà, in circostanze altrettanto misteriose, un ex colonnello dei marines di origine siciliana, il criminologo Joe Lipari. Insieme si addentreranno in un labirinto di specchi dove la verità è plasmabile come la creta. Una trafila di personaggi, ognuno col suo carico di segreti e di paure, danzerà attorno a questa verità, che minaccia di trasformarsi in qualcosa di abnorme per le dimensioni di San Patrizio. Gli omicidi si moltiplicano, consumati tutti dallo stesso fucile da caccia di proprietà di Nino Mantineo, che si trasforma in una sorta di fantasma vendicatore

Il paese è stretto d’assedio da un servizio d’ordine tanto soffocante e repressivo, quanto impotente a fermare la mano dell’omicida. Dall’inconscio collettivo della popolazione comincia a emergere la figura leggendaria di Niuru, feroce e sanguinario brigante medioevale, simbolo di rivolta contro ogni forma di potere. Il misterioso assassino viene identificato dagli abitanti come una reincarnazione di Niuru, subendone il fascino ambiguo e il dominio sulle coscienze. Il paese è preda di pulsioni violente e irrazionali dirette contro le autorità. Pulsioni che non risparmiano nessuno e ingabbiano le indagini in una rete senza via d’uscita.

L’epilogo sarà sorprendente e nello stesso tempo prevedibile, ma il finale ghigliottinerà le convenzioni rovesciando il senso morale e filosofico della vita.
Il respiro e il ritmo narrativo sono più stringenti, l’analisi psicologica più introspettiva, le riflessioni e le speculazioni filosofiche più articolate, rispetto a Focu e Faiddi. La passionalità e la sessualità, sfrenate e brucianti del primo romanzo, sono smorzate e attutite dalla nebbia, vera e metaforica, che imbavaglia le pulsioni e gli slanci, schiacciando i destini sotto la coltre secolare dell’ineluttabilità.
Là c’era la scoperta della Sicilia da parte di un barbaro, qui è una nozione acquisita.
Là agiva in sottotraccia la tragedia greca nel suo versante dionisiaco. Qui prevale la razionalità e la dialettica socratica. Due anime della cultura siciliana, a cui aggiungerei la crisi dell’identità di stampo pirandelliano, che sfocia addirittura nella critica ai fondamenti dell’ego. 

Anche in Niuru ho adottato il dialetto siciliano con uno scrupolo particolare riguardo l’esattezza delle coniugazioni dei verbi e la scelta dei vocaboli in funzione dell’efficacia descrittiva e psicologica di luoghi e personaggi. La figura del brigante Niuru è immaginaria, ma storicamente legittima e giustificata come reazione del singolo contro i soprusi perpetrati dai baroni, che avevano diritto di vita e di morte sui contadini e i loro familiari. 

L’impianto giallo di investigazione predomina sulle tinte gotiche che caratterizzavano Focu e Faiddi, ma trascende il genere per le venature metafisiche che lo permeano e la destabilizzazione dell’assetto morale, che oltrepassa il consueto cinismo disincantato del noir, per imboccare una strada costellata dal crollo delle mitologie e delle sicurezze ontologiche, spazzate via dal vento niuru del nichilismo.

Michele Branchi


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