Rubén Darío, Thanathopia. Racconti fantastici, esoterici e del terrore, a cura di Anna Laura Perugini
«...quella figura si voltò verso di me, scoprì il volto e, oh, spavento degli spaventi!, quel viso era vischioso e marcio; un occhio penzolava sulla guancia ossuta e putrida; arrivò a me un umore di putrefazione.» (La larva)
Vi segnaliamo la recensione scritta dal professor Oliviero Canetti relativa al volume Thanathopia, opera dello scrittore nicaraguense Rubén Darío (1867-1916), una delle penne più influenti della letteratura ispanoamericana del suo tempo.
La recensione
«Era un bambino. Era immensamente buono... Né orgoglioso, né astioso, né ambizioso. Non aveva nessuno dei peccati angelici, lontano più di ogni altro dai peccati diabolici, non conosceva altri peccati che quelli della carne. La sua anima era purissima.» In queste parole, Ramón María del Valle-Inclán racchiuse lo spirito e il carattere di Rubén Darío, appena scomparso: tra i due grandi scrittori era corsa un’amicizia pari soltanto alla reciproca ammirazione.
Definizione in fondo paradossale, in quanto il grande poeta nicaraguense si era formato sotto il segno della bohème francese e del parnasse contemporain. Aveva condotto una vita sregolata, eccessiva, dispendiosa, destinata a portarlo a una prematura morte per cirrosi epatica a soli quarantanove anni. Ciò nonostante, Darío non era mai riuscito a raggiungere del tutto la statura, a cui forse un po’ aspirava, di poeta “maledetto”. Come Edgar Allan Poe, di cui aveva un vero e proprio culto, o come Verlaine, soprattutto, idolatrato fin dagli anni della giovinezza. Ma Valle-Inclán aveva ragione: Rubén Darío era troppo sincero, ingenuo e generoso. La fiducia e la simpatia che suscitava contribuirono alla sua affermazione come poeta e valsero a perdonargli gli aspetti più controversi della sua esistenza.
Rubén Darío era un uomo fragile: cedevole ai vizi, sensibile al fascino femminile, non riuscì mai a trovare un equilibrio con i sensi di colpa dovuti alla sua educazione cattolica. Era tutt’anima, nudo, indifeso. La sua fede, vissuta tra lacerazioni e tormenti, si confrontava quotidianamente con il soprannaturale, il diabolico, il magico, si mescolava alle superstizioni e alle leggende del Nicaragua e traeva forza dai terrori e dagli incubi che lo tormentavano fin dall’infanzia. Il suo desiderio di penetrare nel mistero dell’inconoscibile lo portò a cercare una risposta alle proprie ansie nell’esoterismo, nella teosofia, nello spiritismo. Credeva e discredeva a tutto, seguendo le sue inclinazioni, i suoi timori, la sua infallibile bussola poetica, ma spesso con scarso senso critico. Le cosiddette “scienze occulte” lo attraevano in maniera morbosa ma pure, inevitabilmente, lo riempivano di inquietudine e di angoscia: gli ricordavano l’approssimarsi del mistero della morte, che egli rappresentava come una donna bellissima e algida, una Diana implacabile, trionfante, eternamente vergine.
In queste cifre si racchiudono alcune delle numerose tematiche che attraversano la sua poesia – che ha trasformato la letteratura spagnola e per la quale Darío è giustamente famoso –, ma che sono anche fondamentali nei suoi testi in prosa. Ingiustamente oscurati dalla grandezza dell’opera poetica, i racconti di Darío sono invece una parte indispensabile del suo mondo letterario. Simbolisti, surreali, a volte metafisici, molto spesso autobiografici, i racconti dariani attingono a piene mani a tutto l’armamentario post-romantico, decadentista e modernista. A partire dai testi giovanili, in cui il narratore rievoca il mondo meraviglioso della mitologia greca, riscrive le leggende cavalleresche, attualizza i racconti di fate, viene sedotto dagli scenari esotici delle Mille e una notte e ripropone una sensualità neopagana in chiave moderna, il Darío maturo si avventura in territori più oscuri e inquietanti. Dagli apologhi “morali”, ispirati alla Bibbia o alle leggende agiografiche, in cui predomina l’afflato mistico, si arriva al vero e proprio racconto del terrore, dove allucinazioni indotte dalle droghe, materializzazioni sepolcrali, fenomeni inspiegabili e presenze diaboliche, unite a un opprimente, indelebile senso del peccato e della morte, trasformano il suo mondo di ninfe, fate e principesse in una successione di incubi terrificanti.
Quest’edizione in due volumi (
Voce lontana e
Thanathopia) dei racconti fantastici di Rubén Darío,
la più ampia fino a oggi pubblicata
nel nostro Paese, è grosso modo organizzata secondo una
scansione tematica e cerca di dissipare la matassa delle molteplici influenze culturali e umane che filtrarono nel vasto corpus prosastico del grande autore nicaraguense. La curatrice,
A. Laura Perugini, qui alla sua prima esperienza di traduzione professionale, si è affidata alla competenza e all’intuito di
Dario Chioli – scrittore egli stesso, nonché profondo conoscitore di letteratura mistica ed esoterica – per mettere a fuoco quelle “zone di confine” della poetica dariana che, soltanto negli ultimi anni gli studiosi hanno cominciato ad analizzare in maniera critica.
Da parte mia, posso solo augurarmi che la curatrice, rispettando una promessa che le ho estorto, ci consegni presto le traduzioni dei racconti ancora inediti di Rubén Darío.
Oliviero Canetti
Cagliari, 3 novembre 2016
Recensione del blog La libreria di Yely:
Per maggiori informazioni, seguite i nostri link!
Thanathopia: http://www.vocifuoriscena.it/catalogo/titoli-thanathopia.html
Voce lontana: https://www.vocifuoriscena.it/catalogo/titoli-voce_lontana.html
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