giovedì 14 gennaio 2021

Le dodici notti, tra mistero, magia, speranza e… terrore







Tra Natale e Epifania intercorrono esattamente dodici notti, tante quanti i mesi dell’anno. 
Premetto che non sono un’esperta in materia. Ma, circa sedici anni fa, ho pubblicato il saggio Storia e magia del Natale nel mondo per la casa editrice veronese QuiEdit. E, tra le altre cose, narravo il fascino, ancor oggi vivo in alcuni Paesi, delle fatidiche dodici notti. 
Così ho pensato di riproporlo nelle seguenti righe, seppure in forma ridotta. 

Perché festeggiamo il 6 gennaio?

L’Epifania condensa una miriade di festività antiche e culti pagani solstiziali, in seguito amalgamati e inseriti nella tradizione giudaica e cristiana. In alcuni Paesi ortodossi, per esempio, il 6 gennaio coincide ancor oggi con la vigilia (o antivigilia) del Natale, mentre questa data è praticamente priva di significato per i popoli di tradizione musulmana o buddhista. 
Una solennità prevalentemente occidentale, dunque, anche se la sua origine storica è nettamente orientale. Come ci illumina Alfredo Cattabiani in Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, la nascita dell’Epifania risale al 120-140, per opera degli gnostici basilidiani di Alessandria d’Egitto, una setta eretica di matrice cristiana del II secolo. I basilidiani ritenevano che l’incarnazione del Messia fosse avvenuta con il battesimo nel fiume Giordano, ossia in coincidenza con la sua manifestazione (epipháneia) pubblica a tutti gli uomini.
Infatti, Epifania, dal greco epipháneia, significa “manifestazione”, “apparizione”, “rivelazione di una divinità”, e coincideva in Oriente con i riti del solstizio invernale, che festeggiavano la rinascita del Sole e il rinnovamento del tempo. Molte divinità solari del mondo orientale, come Eone, Helios e Dionisio, venivano onorate il 6 gennaio. 

Poi l’avvento del Cristianesimo che, durante i primi secoli, si diffuse soprattutto nelle aree orientali dell’impero romano, dove la libertà di culto era maggiormente consentita.
Fu in seguito all’affermarsi della nuova religione che all’inizio del II secolo, ad Alessandria d’Egitto, si cominciò ad attribuire all’Epifania un valore diverso, configurandola, almeno inizialmente, come celebrazione del battesimo nel fiume Giordano.
In seguito, nella stessa data, si aggiunsero altre tre commemorazioni: la nascita del Messia, il suo primo miracolo e l’adorazione dei Magi.
È in quest’ultima prospettiva che la Chiesa romana, una volta che la festività venne importata nelle regioni occidentali dell’Impero, ha interpretato il significato di questa solennità religiosa, mantenendolo inalterato fino ai nostri giorni. 

La dodicesima notte

A livello popolare, tuttavia, il 6 gennaio ha inizio dopo la dodicesima notte, chiudendo il cerchio magico dei giorni sottratti al tempo in cui tutto era possibile, perfino predire il futuro.
Ma la sospensione del tempo apre anche la porta su un affascinante mondo fantastico, dove gli animali parlano, si compiono prodigi, le signore notturne cavalcano sulle scope e i morti fanno ritorno sulla Terra, allentando il rigore delle leggi scientifiche e fisiche che governano il mondo.
E sull’atmosfera fiabesca delle dodici notti la fantasia popolare si è sbizzarrita, vivendo questo magico periodo all’insegna della trasgressione e del sovvertimento dei ruoli. Solo con il 6 gennaio ogni orgia e festeggiamento si concludono per rientrare nel tempo della normalità.

Alcune curiosità sulle dodici notti

Sebbene oggi queste manifestazioni di rivoluzione temporanea siano decisamente meno appariscenti che in passato, di certo non sono scomparse e sussistono ancora in molti Paesi.
L’esempio forse più diffuso, sebbene limitatamente all’Occidente europeo e americano, sono le sfilate in maschera o, comunque, il travestimento, che simboleggia la trasposizione dei ruoli, come la tradizione dei mummers in Inghilterra: persone mascherate, cercavano un tempo ospitalità nelle case durante il periodo natalizio (oggi la tradizione si è commutata in rappresentazioni teatrali).
Questa usanza risale al 1512, quando re Enrico VIII stabilì di celebrare le dodici notti in modo decisamente originale, facendo costruire un castello in dimensioni ridotte, con tanto di torrioni e cancelli, che venne trasportato per le sale del palazzo. Al suo interno dame vestite con abiti di raso ricamati con foglie d’oro e acconciature e copricapi anch’essi dorati.
Il re con cinque cavalieri, tutti vestiti altrettanto riccamente, assalirono la roccaforte ingiungendo alle dame di uscire per danzare con loro. Dopo ore di balli, le deliziose damigelle invitarono i prodi vincitori a seguirle nel castello, che venne velocemente trasportato fuori dal salone principale in cui si svolgeva la festa. Lascio all’immaginazione del lettore come si conclusero i festeggiamenti... 

Tuttavia Enrico VIII, forse troppo entusiasta dell’atmosfera godereccia vissuta nel corso delle dodici notti, dovette poi fare i conti con i disordini che seguirono e di cui si erano avute avvisaglie anche in passato.
Sempre in occasione del 6 gennaio, nel 1393, in Francia, una festa alla corte di re Carlo si era trasformata in tragedia: molti partecipanti, per voler assomigliare ai “selvaggi” neri, si erano ricoperti il corpo di pece e pelame. La vicinanza alle torce, che illuminavano la notte e accompagnavano le danze, aveva fatto divampare un grande incendio, proprio in virtù dell’alta infiammabilità dei travestimenti, ed era stato enorme il numero dei morti carbonizzati.
Soprattutto, il travestimento non consentiva di riconoscere i volti e così capitava spesso che sgraditi ospiti partecipassero alle feste dei nobili, pur non essendo stati invitati, creando inevitabilmente scompiglio.
Pur a malincuore, Enrico VIII fu costretto a emanare una legge che proibiva i travestimenti, ma questo trasgressivo costume continuò a sopravvivere e a diffondersi, nonostante le proteste della nobiltà. 

In Grecia vige una curiosa credenza popolare: nel corso delle dodici notti dei demòni sotterranei (kallikántzaroi) si introducono nelle case, spesso scendendo dal camino, e compiono innumerevoli dispetti, come far andare a male il latte o impossessarsi delle persone costringendole a danze sfrenate per tutta la notte. L’unico modo per contrastarli è lasciare da Natale all’Epifania il ceppo acceso nel camino, oppure attendere il 6 gennaio, quando grazie ad una suggestiva benedizione vengono ricacciati nel sottosuolo per un intero anno.
Sebbene l’acqua benedetta possa porre termine alle insidie dei kallikántzaroi, nei dodici giorni precedenti i greci prendono ogni precauzione contro i loro influssi malefici: in particolare, è convinzione diffusa che tutti i bambini nati il 25 dicembre possano trasformarsi in questi fastidiosi demòni e, per scongiurare tale pericolo, i neonati vengono avvolti in trecce d’aglio o viene loro bruciata l’unghia di un piede.

E la Befana?

In molti parti del mondo l’Epifania è considerata il momento propizio per scacciare il male e gli spiriti maligni. Tra i riti di purificazione del 6 gennaio spiccano i falò, come il Rogo della Vecchia, con cui si bruciano simbolicamente tutti gli elementi negativi dell’anno appena trascorso.
I fuochi dell’Epifania si ricollegano agli antichi riti solstiziali, in cui le cataste venivano bruciate per rigenerare il Sole, ma anche ai culti della fertilità delle popolazioni preelleniche. Era infatti la Dea Madre, confluita poi nell’immagine della Befana, la principale divinità venerata dalle civiltà arcaiche.

La vera antenata della Befana, tuttavia, va fatta risalire alla dea Diana e al culto della fertilità, “allorché si riteneva che, nelle dodici magiche notti tra il 25 dicembre e il 6 gennaio, fantastici voli notturni di misteriose figure femminili, sopra i campi seminati, avessero una funzione propiziatoria per il futuro raccolto” (C. Sacchettoni, La storia di Babbo Natale).
La dea Diana, prima di sedimentarsi nella popolare e benevola immagine della vecchina portatrice di doni, ha subito una serie di metamorfosi straordinarie, in sintonia con l’atmosfera magica della dodicesima notte. Poiché volava di notte, ella venne identificata dapprima con una strega, in perenne combutta con Satana, per poi commutarsi in Befania, la regina delle signore notturne. In queste nuove vesti cambiò radicalmente il suo ruolo, divenendo mediatrice delle liti tra le streghe nonché antagonista del Diavolo.

Le varianti della Befana

La Befana ha assunto caratteristiche e aspetti diversi a seconda delle tradizioni popolari di ogni Paese.
I popoli della Germania la chiamavano Frau Holle, protettrice dell’agricoltura e dei bambini morti in circostanze violente o senza aver ricevuto il sacramento del battesimo. Giovane, con lunghi capelli biondi, questa divinità solcava i cieli su un carro trainato da cavalli d’oro, accompagnata da un innumerevole corteo di streghe.
Nella versione della Germania meridionale prendeva invece il nome di Frau Berchta e volava scortata dalle anime dei bambini defunti. Decisamente meno affascinante di Frau Holle, questa “Befana” dai capelli arruffati pretendeva di essere ricevuta secondo precisi cerimoniali, come la preparazione di un pranzo a base di aringhe e knödel. Non osservare queste regole significava attirare la sua spietata vendetta. 

Nonostante i tentativi delle autorità religiose di neutralizzare questi personaggi fantastici e a un tempo inquietanti, Frau Holle, Frau Berchta e anche la Posterli della Svizzera e la strega Zuscheweil del Tirolo continuano ad alimentare la fantasia popolare.
Amata e temuta, la Befana viene regolarmente celebrata in molti Paesi europei, dove ormai ha perduto ogni valenza negativa. La dolce nonnina è conosciuta anche in Sudamerica, con il suadente nome di Vieja Belén (la Vecchia di Betlemme), ed è colei che per tradizione dispensa i doni ai bambini poveri nella Repubblica Dominicana.
Girovagando per il mondo incontriamo anche altre portatrici di doni: in CanadaMamma Goody, che distribuisce i regali a Capodanno e la Tante Arie della Franca Contea (una regione della Francia orientale), che sostituisce in tutto e per tutto Babbo Natale.
La Babuška ("nonna") della Russia, probabilmente una versione della Baba Jaga, che si nutriva di carne umana, specie quella tenera dei bambini, invece è una candida vecchina che adora i bambini e intorno a lei sono sorte svariate leggende.
La più celebre narra che i Magi, mentre si recavano a Betlemme, bussarono alla porta della sua dimora, chiedendole indicazioni ed invitandola a seguirli. Ella però rifiutò la gentile proposta, per poi pentirsene amaramente. Corse allora fuori, con una cesta colma di doni per Gesù, ma non riuscì a rintracciare i tre re. Così da allora, per espiare la sua colpa, porta i doni a tutti i bambini del mondo la notte dell’Epifania.

Alcuni aspetti del suo turbolento passato permangono ancora, soprattutto il suo intrinseco legame con gli antichi riti propiziatori, dove la Befana personifica il ciclo della vita e della trasformazione: i suoi capelli bianchi simboleggiano l’anno giunto rinsecchito al termine dei suoi giorni e così la vecchia signora dell’Epifania troneggia sulle cataste ardenti, emblema dell’eterno concludersi e rinascere della natura e della vita.


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