Mamma mia… che domanda difficile.
Allora te la facilito un pochino: come hai deciso di cominciare a suonare?
Io non ho deciso di cominciare a suonare. È stata la musica che ha scelto me. Ho capito subito, da piccolo che non avevo la faccia, il corpo e la voce per farmi sentire e che avrei avuto bisogno di qualcosa che mi aiutasse a parlare. Ho subito pensato che i tamburi mi avrebbero dato il supporto di cui avevo bisogno. Ho cominciato a suonare la batteria. Be’, certo… batteria è una parola grossa. Avevo quattro anni e non esistevano le batterie giocattolo, allora ho cominciato a battere le pentole. Poi i fustini del detersivo e via dicendo fino a che sono riuscito a farmi noleggiare una batteria.
E hai sempre suonato quella?
Sì, troppo facile. Avrei potuto dire: “Sono un batterista” e tutti avrebbero potuto dire: “Guarda Rubu… è un batterista!”, annuendo con la testa. Cantavo bene. Volevo fare il cantante (peccato che ho sempre odiato le canzoni). Ciò, però non mi ha impedito per un periodo di comprarmi una chitarra e mettermi a fare il cantautore. Che periodo triste. Vergognoso. La curiosità è sempre stata il mio motore. La curiosità e il fatto che non ho mai sopportato di fare la stessa cosa per più di pochi giorni.
Quindi? Come la mettevi con lo studio della musica che, a quanto ne so, è una cosa ripetitiva?
Il segreto è stato quello di trasformare il set della batteria in qualcos’altro: un set di percussioni. Le percussioni significano mille strumenti (più altri mille… più altri mille ancora, per 77 volte 7), studiarle tutte significava avere a disposizione più di sette vite, per cui avevo l’alibi per non fare mai le stesse cose. Gli stessi esercizi di tecnica. Nel frattempo, però, sviluppando strategie personali che mi permettessero di suonare tutti quegli strumenti, approfondivo il mio stile. Cercavo l’essenza del percussionismo.
Cosa significa?
Significa che, per me… a mio gusto, il percussionista deve sviluppare un linguaggio che dia qualcosa in più alla musica. Che arricchisca. Che fornisca sapori esotici, colori. Che sia come le nuvole al tramonto (assumono forme e colori diverse ogni secondo che passa). Io volevo dipingere sulla musica. La musica era la mia tela. I miei suoni pennellate.
E da qui la pittura?
Da qui… qualsiasi cosa facessi mi sentivo fuori luogo. Dipingevo la musica. Poi, quando mi sono inventato di essere pittore… suonavo i colori.
E con le parole?
E allora perché il romanzo?
Forse perché volevo spiegare, innanzi tutto a me stesso, il perché di tutta la mia curiosità. Del cambiare continuamente. Del cercare.
Penso di non aver trovato risposte e neanche tutte le domande. Forse qualcuna. In fondo non si cercano le domande per avere le risposte, ma solo per focalizzare i significati delle cose.
Ricapitolando: sei o non sei un musicista, doppiatore, pittore, scrittore?
Ho sempre creduto di essere un musicista, ma non ho mai potuto immergermi nell’approfondimento di un singolo strumento, perché tutta la vita che ho sempre sentito intorno mi scoppiava dentro e volevo suonare tutti gli strumenti, tutta la musica che ascoltavo e che vedevo. Quindi mi viene da dire che sono sempre stato un amante (nel senso carnale del termine) della musica. E siccome la musica abbraccia tutto (sempre nel senso carnale), allora sono anche pittore, cuoco e poeta… ma senza mai esserlo stato.
Davvero sei cuoco?
Ma no che non sono un cuoco! Come puoi pensare una cosa simile? Ho sempre fatto finta di essere un musicista e tutto il resto… vuoi che mi identifichi in qualcosa? Di utile?
Una volta si aveva più tempo per vivere d’amore. Amore per le cose. Amore per la vita. Ci si viveva dentro all’amore e alla vita. Ci si impastava come polpette e ci si cucinava in tutti i modi possibili immaginabili: fritti, in umido, al sugo, al forno, coi piselli, al vapore.
C’è stato un periodo che si viveva a fuoco vivo, saltellando e scoppiettando su di una piastra rovente. Si innaffiava il tutto coi migliori vini perché ogni giorno della gioventù era degno dei migliori festeggiamenti. Ma non c’erano solo polpette. Si cucinava di tutto e tutto era buono perché l’ingrediente fondamentale eravamo noi e tutto quello che ci scorreva tra le mani.
Certo, si stava attenti a quello che dovevamo mettere prima o dopo, nella padella, affinché si rispettassero gli ingredienti e la buona cottura, anche se conoscevamo, istintivamente, le ricette.
Adesso che non hai più a disposizione del tutto le mani, come fai a sentirti ancora “nella musica”? A essere il suo amante, come dicevi prima. E ora, che ti muovi con una sedia a ruote e non puoi più trasportare la montagna di carabattole (le percussioni) che utilizzavi un tempo, come fai?
Ti amo, Massimo!
RispondiEliminaTi amo, Massimo!
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RispondiEliminaTi amo, Massimo! 🙃😘😜
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