Quando arrivò nella casella di posta dei Ciottoli la proposta di Mario Corte, diedi una rapida lettura alla sinossi e poi un’occhiata alla scheda biografica dell’autore. E lì rimasi senza parole: quell’uomo ne sapeva molto più di me di letteratura, avendo dedicato tutta la sua vita a scrivere, rivedere, tradurre opere. Oltre a essere autore e bibliografo dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, curava da circa venticinque anni Il libro dei fatti, e aveva pubblicato in precedenza con case editrici quali Einaudi.
Perché, allora, proponeva a noi il suo romanzo?
Lo chiamai e glielo chiesi.
Mi rispose che le grandi case editrici lo avevano tutte deluso. Le loro erano mere operazioni commerciali, e Mario aveva invece bisogno di rivivere il grande passato, i tempi in cui erano editor come Calvino a decretare il bene o il male del panorama letterario italiano.
A quelle parole cercai di sprofondare, ma le leggi della fisica – impietose – me lo resero impossibile.
Bofonchiai che non mi ritenevo affatto all’altezza dei grandi del passato – Calvino, figuriamoci, il mio indiscusso idolo letterario! – e che faceva ancora in tempo a tornare sui suoi passi.
Mario liquidò le mie proteste con poche parole: “Claudia, veda se il romanzo funziona, se qualcosa va cambiato: mi faccia questo immenso favore”.
La revisione
Il mio lavoro di revisione durò pochi giorni: a parte piccole incongruenze e qualche inevitabile refuso, Mario Corte ci aveva regalato un romanzo di rara originalità, e soprattutto di rara sensibilità.
Protagonista un bambino di sei anni – Michelino – dalla fervida immaginazione. E di contorno le bestie, che sono i suoi stessi familiari: una zia che lo usa per assecondare le sue perversioni, una nonna tirchia nell’animo, una madre scissa dalla realtà e un padre incapace di difenderlo.
Quel mondo, in cui il surreale di Michelino cercava di essere fatto in frantumi dalle bestie, mi colpì, ferì e anche risvegliò: è in nostro mondo, purtroppo.
L’amicizia
Nel frattempo avevo avuto modo di conoscere meglio Mario: con lui ho parlato del romanzo, si intende, ma anche di tante altre cose, che mi hanno aiutato a comprendere di più sia lui, sia me stessa. E credo sia questo l’aspetto che amo maggiormente del mio lavoro: potermi confrontare con persone non solo interessanti, ma anche capaci di creare sintonie, visioni comuni, stimoli reciproci.
Per qualche giorno mi fece addirittura l’onore di essere mio ospite qui a Negrar, e spero solo che si sia trovato bene in questa gabbia di matti.
Durante la sua permanenza, presentammo Ad Bestias alla Libre! di Verona, e Mario riuscì a incantare i presenti con dettagli sul suo romanzo, ma soprattutto con la sua generosa umanità.
Un piccolo-grande successo, insomma.
Uno spiacevole intoppo
Qualche giorno dopo venni contattata da una giornalista del giornale locale veronese – L’Arena – per un’eventuale recensione.
Portai alla signora in questione una copia del romanzo, ci intrattenemmo un po’ a parlare del panorama letterario italiano, ma anche di Mario Corte, di perché avevo scelto di pubblicarlo, e me ne tornai a casa con la piacevole sensazione di aver incontrato una persona che condivideva parecchio del mio modo di pensare.
Dopo soli due giorni, questa signora mi richiamò, invitandomi a tornare a casa sua.
Una volta lì mi disse, con fare contrito, che se avesse dovuto scrivere una recensione sarebbe stata per stroncare il romanzo.
“È nel suo diritto, faccia pure”, le risposi. “Ma posso sapere perché?”
“Perché ci sono delle frasi in inglese, e questo è un romanzo di letteratura italiana. Almeno aveste messo delle note…”
Non ci potevo credere, mi sa che sono impallidita. Tutto mi sarei aspettata, tranne una critica così fuori luogo.
Devo aver ribattuto con qualcosa come “Ma si tratta di poche battute, comprensibili anche da un ragazzino delle elementari”.
Fatto sta che la giornalista in questione non aspettava altro che un mio vacillare. “Ma come? La vedo disorientata. Non sa accettare le critiche? Mi sa che ha ancora molto da imparare sul lavoro di editrice. Guardi, guardi qua: questa è una recensione che sto preparando per Einaudi. E frasi in inglese manco mezza. Lo stile è stringato, niente divagazioni fantasiose.”
C’era da ribattere?
Mi sa di no. Le diedi ragione sul fatto che avevo ancora molto da imparare, cosa che ritengo vera tutt'oggi, e me ne andai salutando con perplessa gentilezza.
Per poi tornare a casa e ritrovarmi una mail piena di feroce ironia e sarcasmo bieco da parte della suddetta.
Ad bestias, che altro?
Claudia Maschio
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