lunedì 8 febbraio 2021

Come nasce un romanzo: il caso Rubulotta

 


Massimo Rubulotta, sì, è musicista, poeta, pittore, lo sanno anche le arche scaligere, le pietre dell’arena e del teatro romano. Ma per me, prima di tutto, è un amico, e anche di quelli più cari, diciamolo. Lo confesso per togliere ogni dubbio sul fatto che la pubblicazione di Mai affezionarsi a una ricetta sia un bieco caso di nepotismo. Però, attenzione, al contrario

Qualche passo indietro

Quando ci siamo conosciuti, io avevo vent’anni, e Massimo ancora tutti i capelli. Io studiavo e scrivevo fiabe o romanzi, lui suonava e scriveva poesie, ma il trait d’union consisteva nell’essere entrambi due abilissimi cazzeggiatori.
C’era una festa? Eccoli lì, noialtri due.
Non c’era una festa? Li trovavi al bar, quei due senzapatria, spesso a parlare di sogni più grandi di loro, ma credendoci in modo fin commuovente.
Abbiamo attraversato insieme il confine tra la stupidità dell’infanzia – nel nostro caso parecchio prolungata – e quello della presunta maturità, ossia il far fronte a responsabilità questa volta davvero più grandi di noi.
Ne abbiamo passate di tutti i colori, soffrendo, piangendo, bestemmiando quasi sempre in silenzio, ma una volta insieme riecco ogni volta l’atmosfera di un tempo, quella del sogno, del non volerlo lasciar scappare come un palloncino da luna-park. 

Un libro di poesie

Si intitolava Cento di cento, una serie di haiku scritti dopo l’ictus in ospedale: alcuni non mi convincevano del tutto, la maggior parte però arrivava dritta allo stomaco e ti rimbalzava al cervello. C’era qualcosa di potente, là dentro, ma non potevo pubblicarlo, anche se era questa la proposta di Massimo. Gli risposi che Vocifuoriscena non ha una collana di poesia, forse un domani, se ci sarà qualcuno in grado di curarla come si deve. 

Poteva finire qui, giusto? 

Invece quegli haiku continuavano a presentarsi alla mia mente, nei momenti più impensati. E mi ritrovavo a immaginare una storia che li collegasse, una storia che ancora non c’era.
Così proposi a Massimo di scriverla. 

“Manco per sogno!”

Questa la sua lapidaria risposta, e per convincerlo ci impiegai non dico mesi, ma almeno una mezzora sana. Ovviamente davanti a una birra io e un calice di Valpolicella lui nell’osteria di fuori porta di via Betteloni.
“Le poesie le metto, nel romanzo”, gli promisi. “Il resto non so cosa sia, ma sono sicura che ce l’hai dentro, da qualche parte.”
Mi guardò poco convinto. “Ma mi dai una mano?” 

L’inventa Ciottoli

Di solito come funziona? Arrivano dei romanzi sulla casella di posta, li valutiamo, e via dicendo. Però penso che, potendo, avendone il tempo e l’occasione, un editore dovrebbe essere lui stesso a cercare i romanzi che vuole pubblicare. O, addirittura, come in questo caso, inventarli. Intendo dire, immaginare che un romanzo che ancora non c’è possa vedere la luce.
Alla domanda di Massimo, ossia se gli avrei dato una mano, risposi di sì, ben sapendo che il mio sarebbe stato più un supporto emotivo, empatico, che altro. Insomma, nulla rispetto a quanto sarebbe uscito dalla sua penna. 

Mai affezionarsi a una ricetta

Massimo iniziò a scrivere prosa, e gli riusciva con una naturalezza spiazzante. Un po’ a caso, narrava episodi della sua vita, senza seguire una logica precisa. Diceva “Vedi che non sono capace?”, sì, sempre alla ricerca di rassicurazioni, lui.
Raccontava dei suoi cani, della musica, sua unica grande e mai tradita amante, di quando suonava le congas attorniato da ballerine dai fisici mozzafiato, delle passeggiate tra i monti, delle figlie ancor piccole, della madre un po’ svitata, e invece a suo modo saggia, di tutto quel che riusciva a dipingere dei propri ricordi presenti e passati con le parole. 

La "trappola" della letteratura

La verità è che nessuna storia ha bisogno di una cronologia. Le cose più interessanti che ci capitano nella vita sono emozioni, commozioni, slanci imprevisti, lacrime e sorrisi. La letteratura, ci ha abituato a storie che devono per forza di cose avere un inizio e una fine, perfino una coerenza su quanto avviene durante.
Ma la vita non è coerente, e il suo inizio, come pure la sua fine, sono quasi inevitabilmente elementi confusi.
Ed è in essi, in quella familiare confusione, che ci ritroviamo.

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