sabato 27 febbraio 2021

Chiamalo, se vuoi, surrealismo

 


Come tutte le avanguardie storiche, nel corso del tempo il surrealismo ha perduto la funzione e gli obiettivi che si era preposto al suo nascere. La carica dirompente, polemica, nei confronti delle cristallizzazioni del modo di percepire il reale e trasporlo nell’oggetto artistico, si è affievolita insieme alla consapevolezza di un fatto ormai acquisito. L’assimilazione del surrealismo nella pittura, nel cinema, nella letteratura, ne ha dissolto il criticismo spirituale, filosofico, psicologico, che nei primi anni ’30, ’40 del Novecento minava dall’interno le strutture gnoseologiche dell’esperienza, allargando le frontiere della coscienza oltre i sillabari del razionalismo con l’inclusione del mondo dell’inconscio come parte imprescindibile e integrante dell’approccio relazionale con l’altro da sé.

Il materiale espressivo e lessicale che serviva a mostrare l’irruzione destabilizzante del linguaggio onirico, prima irrappresentabile, in quanto avulso dai meccanismi e dalle categorie tramite i quali la ragione ci restituisce la rappresentazione logico-scientifica della verità, è divenuto abituale elemento semantico-esplicativo, se non di spettacolarizzazione effettistica. Il surrealismo si è cangiato addirittura in un genere, attraverso non poche contaminazioni, provenienti soprattutto dal fantastico, dall’horror, dal ghost story. Ma anche attraverso diverse sue acclamate interpretazioni in chiave autoreferenziale, come nel cinema di Fellini. 

Noi ora ci poniamo la riflessione se e in quale misura sia lecito definire surrealista una certa maniera di fare letteratura. Maniera, poiché non credo si possa più parlare di corrente o meno che mai di movimento. D’altronde, dopo tutte le rivoluzioni culturali e artistiche consumatesi nel cosiddetto secolo breve, non esiste invenzione creativa che non rientri nel dejà vu. Perciò stiamo vivendo da decenni in una età dei manierismi perenni. Detto questo, cerchiamo di affrontare la problematica sotto il profilo delle strutture e delle soluzioni narrative scelte dagli autori. 

Diamo per scontato che in pittura e nel cinema il surrealismo si è declinato al meglio, trasmettendo nell’immediatezza delle forme e delle visioni la propria specificità programmatica. Vale a dire l’apparente sconnessione alogica delle figurazioni e delle ideazioni in rapporto allo spazio-tempo del dipinto o del film. Fino a generare iconiche bizzarrie o suggestioni stravaganti (Dalí), accostamenti luministici e concettuali meta-razionali (Magritte), sconfinamenti nel metafisico (De Chirico), deragliamenti improvvisi dai binari del realismo (Buñuel), sincretismi immaginifici e funambolici (Jodorowsky). Su questa congerie talvolta pletorica di ridondanze s’innesta spesso la tematica della latenza del messaggio che serpeggia e s’insinua nell’opera pittorica o cinematografica, al pari e con lo stesso intento di una decodificazione freudiana del sogno. 

Il sogno, infatti, funge da veicolo linguistico antitetico alla sintassi fabulatoria dello stato di veglia, dove si dipanano le legislazioni, gli ordinamenti e i sistemi, la Storia, i romanzi, il buon senso, le logiche geometriche, l’etica, le speculazioni del pensiero. Ma le passioni e le follie scaturenti dagli abissi dell’inconscio scardinano le sicurezze illusorie su cui si erge la civiltà dell’ego. Merito del surrealismo è stato far implodere gli equilibri e gli assetti costitutivi della ragione imperante, alludendo al Sottosuolo che ci fagocita ogniqualvolta rinunciamo ad accogliere nella nostra identità il sosia oscuro che ci accompagna come un’ombra repulsiva e ripudiata

Tuttavia, a mio parere, il Surrealismo risulta molto più cerebrale e intellettualistico che altre avanguardie, per l’esigenza di tradurre e comunicare la complessità simbolico-allusiva dell’Es con gli strumenti espressivi e i tecnicismi propri dell’arte, in una ricerca e una applicazione lontana dagli automatismi spontanei del freudismo. Basta osservare le opere dei grandi maestri del surrealismo storico per verificare quanto siano distanti, per esempio, dall’action panting di Pollock, e abbiano dato luogo paradossalmente a una sorta di accademismo anticonformista, epigone di un romanticismo deformato. 

Più difficile individuare in letteratura la stessa purezza connotativa. Tracce di surrealismo lo riscontriamo già nel realismo magico di Bontempelli; nello sperimentalismo di Joyce (Finnegans Wake più che nell’Ulisse), mentre in Kafka prevale la lucidità delirante di una alterità enigmatica elevata a sistema socio giuridico, che soffoca e giustizia gli individui quando cadono nelle sue spire. 

L’allegoria e la metafora occhieggiano in certi racconti pseudo-surreali di Buzzati o nella stessa situazione tratteggiata dall’autore nel Deserto dei Tartari, in cui la sospensione della credulità funge da postulato iniziale, dopodiché gli eventi si dotano di una loro consequenzialità logica e necessaria. Più a ritroso troviamo lampi surreali in Edgar Allan Poe. Mi riferisco al finale del suo romanzo breve Gordon Pym. In alcuni passaggi del Maestro e Margherita di Bulgakov. Per non parlare del grande Gogol, nel suo lambire il surreale partendo dal grottesco, nei Racconti di Pietroburgo, dove di tanto in tanto pare fluttuino le figurazioni incantate e fiabesche di Chagall a illustrarne lo spirito più nascosto. 

Nel Novecento squarci onirico surreali all’insegna dell’orrore li troviamo in Lovecraft (I miti di Cthulhu, Le montagne della follia…) e saltando a un altro orizzonte letterario, nel Pasto nudo di William S. Burroughs

Il surrealismo percorre la letteratura, vi aleggia, la intride, ma escludo che oggi possa far sorgere un filone precipuo. A meno che non se ne accetti la fusione col fantastico, o meglio il fantasy, interagendo con esso e scambiandosi i favori. Non bisogna confonderlo, invece, con gli esiti raggiunti dai monologhi introspettivi in progress, che recuperano l’assodato e arcinoto flusso di coscienza, di joyciana memoria passando per Virginia Woolf, o il psichedelismo lisergico della beat generation con le varie derive e modulazioni.

In conclusione, il surrealismo in letteratura ha un impatto sul lettore troppo mediato dall’abuso che se ne è fatto in ogni campo, compresa la pubblicità, colpevole di aver decontestualizzato i linguaggi e le forme dell’arte banalizzandone gli assunti.
Il suo potenziale più esplosivo comporterebbe uno slittamento dalla percezione multimediale, che ormai abbiamo interiorizzato, verso un Altrove epifanico davvero conturbante o comunque capace di sorprenderci e sovvertire le prospettive da cui vediamo il mondo e ne siamo visti.
Dovremmo depurarci la mente e rivedere con senso critico tutte le stazioni che la parola ha superato, dalla fase orale all’etimo, fino alla sedimentazione stratificata delle accezioni acquisite successivamente, per poter rigenerare gli archetipi che essa è in grado di evocare e trascendere la fenomenicità sensoriale, affinché si recuperi l’esperienza del numinoso, presupposto per riappropriarsi del surrealismo come estrinsecazione dell’inconscio collettivo e non soltanto del proprio Sé.

Michele Branchi 

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