Chi mi conosce sa che mi vengono per la testa soprattutto idee irrealizzabili. E anche che cerco di portarle avanti lo stesso. Non tutte, sia chiaro: ce ne sono alcune che sembrano oro appena partorite, poi la mattina dopo mi chiedo “Ma quanta birra ho bevuto ieri sera?”.
“Il surrealismo è…” fa parte delle idee che il giorno dopo ho trovato ancora interessanti.
Innanzitutto perché, nella collana i Ciottoli la parte da leone la fanno proprio i romanzi di stampo surreale, che mai ho fatto mistero di amare in modo fin viscerale. In seconda battuta perché sono dell’idea che questo blog debba essere un’occasione di incontro, e non esclusivamente qualcosa di calato dall’alto dagli “addetti ai lavori”.
Ecco, mi auguro che, dopo aver letto queste righe, venga voglia di dire “Tutto sbagliato, so io cosa il surrealismo è o quanto meno voglio esprimere cosa penso al riguardo”. E ci arrivino (a fine articolo come farlo) proposte da condividere.
Il surrealismo appartiene a tutti
Sogniamo ogni notte, talvolta ci ricordiamo quell’onirico viavai di personaggi, emozioni, rastrellate in faccia, cadute a precipizio in crateri lunari, il modo cinico in cui abbiamo gettato nella salamoia la proffe di latino, recitandole le sole poche parole che ci sembravano appropriate e che non è stato poi così difficile mandare a memoria: “Mors tua, vita mea”.
Il surrealismo è parte dei sogni, e dai sogni attinge la sua pregnanza. In questo è diverso dal reale, ma del reale parla eccome.
Chiedete a Freud, se vi capita.
Cosa rappresenta per me il surrealismo?
Amo il surrealismo cinematografico, anche se non me la sento di abbracciarlo tutto. Diciamo che da Buñuel e Duchamp ne è passata di acqua sotto i ponti prima di arrivare a Woody Allen e capolavori come Harry a pezzi, Midnight in Paris e Basta che funzioni.
Adoro il surrealismo pittorico: Salvador Dalì, Magritte, per citare due grandi maestri, ma che dire del surrealismo russo, sorprendente per le rappresentazioni visionarie e inchiodanti della spazzatura umana?
Adoro il surrealismo letterario: Kafka, Bulgakov, Queneau, Calvino sono stati i miei imprescindibili maestri. E so bene che in quel che scrivo c’è traccia di loro, deve esserci per forza. Solo che… non ne sono consapevole mentre lavoro a un romanzo.
Insomma, io il surrealismo non lo penso proprio.
Come scrivo, allora?
Avverto una pressione sul collo, quasi volesse distogliermi, farmi voltare, sorprendere, impaurirmi, ma non voglio darle bado. Invece, come tento di scrivere, la pressione diventa zavorra, macigno, ostacolo. Sollevo le dita dalla tastiera e le porto dietro la nuca. È un coltello affilato, lo strappo e sento scorrere il sangue lungo la schiena, un calore dolceamaro, che sa di ricordi passati, di momenti terribili o terribilmente belli, di licheni, scarpe nuove e erba cipollina.
Intingo le dita in quel sangue, lo lecco, e vedo me stessa da sotto il tavolo, ormai inutile, mentre sulla tastiera si compongono idee che non mi appartengono più e scivolano sulla pagina bianca mischiando inchiostro, sensazioni e paure che non sapevo di avere.
Si può definire il surrealismo?
Il bello del surrealismo è che è più difficile da acchiappare in un concetto che una trota a mani nude: per quanti sforzi si facciano, sguscia tra le mani. Forse perché il surrealismo non fotografa la realtà, ma la mostra metaforicamente, ti ci porta dentro dalla testa ai piedi, superando il filtro del linguaggio e puntando a parlare in simultanea al conscio e all’inconscio, riappacificandoli dalla spaccatura che il vivere sociale quasi sempre esige.
Semplificando ancor più, il surrealismo non descrive il mondo, lo ricrea attraverso immagini che provocano un corto circuito tra ciò che diamo che scontato e la nostra pigrizia mentale. E di colpo torniamo a veder le stelle.
Ma anche dopo tutte queste parole, la trota è sfuggita.
Buon per lei.
N.B. Per Il surrealismo è… manda le tue proposte a questo link, oppure rispondi di seguito nella discussione del blog.
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