Il capolavoro scritto nel 1964 dal finlandese Timo K.
Mukka
L'urlo della terra, amore e morte in Lapponia
Non aveva ancora vent'anni il finlandese Timo K. Mukka quando, nel 1964, scrisse
il suo capolavoro, L'urlo della terra, la cui forza narrativa
ora anche il lettore italiano può apprezzare grazie alle edizioni
Vocifuoriscena, specializzate in letterature nordiche, e alla
magistrale cura e traduzione di Antonio Parente e Nicola Rainò.
È un romanzo impetuoso, che si svolge fra
stalle, boschi, mandrie di renne, laghi ghiacciati, sauna. Ci sono
silenzi e morti violente. Scorre molto sangue: di una
donna morta di parto, di uomini accoltellati, sangue nel cielo di albe e
tramonti, nelle aurore boreali, sangue di Cristo evocato da un predicatore che
col suo fervore revivalista suscita estasi mistiche e lascive.
La sofferenza percorre le pagine come un incantesimo
maligno. L'autore ha composto un testo che ha il tono del teatro
greco, in cui bene e male si intrecciano turbando le menti e alternandosi
come le notti bianche e la notte artica. La protagonista, Martta, è
una straordinaria giovane donna che appartiene in modo simbiotico al paesaggio
nei suoi aspetti più truci e poetici. Lavora nella stalla, in casa si
aggira nuda con una spontaneità disarmante. Vive con il nonno,
con la madre ammalata e con il padre boscaiolo spesso ubriaco. Martta è
innamorata di un lappone, inviso alla famiglia e alla comunità
perché considerato "diverso". Eppure, senza troppo
imbarazzo, si concede anche a chi non stimola in lei alcun sentimento. E
finisce per partorire un figlio senza padre: il lappone giace
in fondo al lago e la colpa di chi lo ha spinto sotto i ghiacci è
insopportabile. Si toglie la vita, tanto alla fine, sempre, «arriva la
notte».
Il testo è arricchito da un'appendice, con
immagini tratte dal film omonimo di Rauni Mollberg, che aiutano a
collocare la storia in una «dimensione senza tempo» come
dice Viola Čapková nella postfazione.
Elisa Fabbri - Gazzetta di Parma
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